GIOTTO (1267-1337)
LA VITA
Giotto di Bondone nasce nella valle del Mugello, a Colle di Vespiniano, nel 1267 circa. E’ contemporaneo di Dante e viene considerato, già all’epoca, un innovatore. Dante ne parla nella Divina Commedia, nel Purgatorio, Canto XI, vv.94-96, come l’allievo che supera il maestro: “…credette Cimabue ne la pintura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura”.
Cennino Cennini, autore del primo trattato d’arte scritto in volgare, “Il libro dell’arte”, scrive:”…Il quale Giotto rimutò l’arte del dipignere di greco in latino e ridusse al moderno; ed ebbe l’arte più compiuta che avesse mai più nessuno…”.
Giotto inizia la tradizione pittorica occidentale staccandosi dai modelli greco-bizantini, modificando radicalmente l’arte del dipingere. Così come l’uso del volgare rivoluziona il mondo letterario, Giotto rivoluziona il mondo dell’arte, introducendo un linguaggio moderno.
La sua attività lo porta in varie città d’Italia:
- ad Assisi dal 1290 per l’ordine dei Francescani;
- a Roma nel 1290, 1300 e 1320 per il Papato;
- a Rimini dal 1302 al 1305;
- a Padova per gli affreschi della Cappella degli Scrovegni;
- a Napoli dal 1328 al 1333 per Roberto d’Angiò;
- a Milano nel 1336 per i Visconti (ma non resta traccia dei suoi lavori);
- a Firenze dove dal 1334 al 1337 è responsabile del cantiere di S. Maria del Fiore.
E’ a capo di una bottega ben organizzata, i cui lavori vengono richiesti da tutta Italia. Giotto progetta le opere, dirige il lavoro dei collaboratori e stende solo personalmente le parti più importanti dell’opera.
Con Giotto cambia la tecnica dell’affresco:
- prima si usava la tecnica delle pontate: si stendeva l’intonaco su tutta la lunghezza del ponteggio, ma piano piano l’intonaco si asciugava e quindi il dipinto si sgretolava facilmente;
- Giotto invece sceglie una tecnica innovativa, la tecnica delle giornate: stende tanto intonaco quanto prevede di fare in un giorno. In questo modo, lavorando su intonaco bagnato, dunque realmente “a fresco”, la vivezza dei colori permaneva.
Egli cambia anche la concezione dell’affresco, per Cimabue e gli artisti medioevali la parete da affrescare è intesa come una superficie piatta e le figure sono inserite in spazi bidimensionali ed anche i bordi avevano decorazioni piatte, Giotto invece intende il dipinto come una finestra che si apre sul mondo a 3D ed anche i bordi sono fatti come se fossero in rilievo. La rappresentazione diventa un fatto tridimensionale, quasi scultoreo.
LE OPERE
Le storie di San Francesco 1290-1295 - affreschi (Basilica di San Francesco ad Assisi).
Giotto fu allievo di Cimabue e con lui collabora ad affrescare la Basilica di San Francesco ad Assisi. Si devono a lui le 28 scene che raffigurano le Storie di san Francesco.
Gli affreschi sono 3 per campata, tranne nella campata d’ingresso dove ce ne sono 4 dietro la facciata, 2 ai lati del portale.
Giotto presuppone che gli affreschi di ogni campata siano visti da un unico punto di vista, ovvero da parte dell’osservatore posto in mezzo alle campate.
Francesco non è rappresentato come un santo distaccato, mistico e ascetico ma come un uomo devoto, simile all’umanità comune, ritratto in scene di quotidianità, l’unica cosa che lo differenzia dagli altri uomini è l’aureola.
Le figure sono molto massicce, dotate di volume ed esprimono sentimenti concreti attraverso la mimica del volto e compiono gesti naturali, sono fisionomie ben personalizzate ed indossano gli abiti contemporanei e non fintamente “classicheggianti” (da qui la successiva abitudine nel rinascimento di inserire figure vestite alla moda del tempo anche in rappresentazioni di soggetti più antichi di secoli).
Le architetture, che sono gotiche, dettagliate e molto fedeli alla realtà, non sono proporzionate rispetto alle figure ma troppo piccole rispetto ad esse, per scelta: Giotto vuole infatti in questo modo valorizzare le presenze umane.
Giotto riscopre la posa di profilo che fino allora era stato usata di rado e solitamente solo per le figure minori o per i cattivi.
Gli sfondi:
- sono paesaggistici con rocce aride e poca vegetazione;
- oppure architettonici di stile gotico, di interni od esterni.
Il tono della narrazione è molto popolare e vivace.
La rinuncia ai beni
In questa scena Francesco si spoglia di tutti i beni materiali perché prende i voti per diventare frate. I personaggi si dividono in 2 gruppi:
- a sinistra il padre di Francesco e i laici vestiti secondo la moda dell’epoca;
- a destra c’è Francesco a mani giunte, di profilo, con gli occhi rivolti al cielo. Dietro di lui ci sono il vescovo e 2 frati.
Questa scena è significativa anche perché testimonia il recupero della correttezza anatomica da parte di Giotto. Il corpo di Francesco, nella rappresentazione delle scapole e del costato è molto realistico per quei tempi.
L’intensità espressiva dei volti e dei gesti rende la drammaticità della scena: il viso del padre è alterato dall’ira ed il suo braccio, pronto a colpire il figlio, è trattenuto da un amico.
La rinuncia ai beni
Il presepe di Greccio
Questo affresco illustra l’episodio, avvenuto a Greccio nel 1223, dove durante la notte di Natale, San Francesco celebrò la nascita di Gesù, organizzando una rappresentazione vivente di quell'evento in cui per impersonare il Gesù bambino venne usata una statua. Durante la Messa però, nella culla, al posto della statua, apparve un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio.
Giotto ambienta l’episodio all’interno della chiesa, nella zona del presbiterio, dove le donne non potevano entrare (non potevano varcare l’iconostasi, la parete divisoria decorata con icone che separa la navata dal presbiterio). Nell’affresco, sullo sfondo sono dipinte le donne che assistono dal vano di apertura e tutto viene visto dall’interno del presbiterio e da dietro con molto realismo, per cui anche il crocefisso viene fatto vedere a rovescio e mostra il cavalletto di sostegno ed il telaio di rinforzo (parchettatura).
I personaggi compiono gesti naturali, vengono colti dal vero, sono molto espressivi e realistici. Dei frati cantano, sulla sinistra prevalgono i laici, vestiti con vesti contemporanei, in fondo c’è il gruppo di donne, e a destra prevale il clero. Francesco e il Gesù bambino hanno l’aureola.
Il presepe di Greccio
Uno degli aspetti più rivoluzionari dell’opera di Giotto è il concepire la rappresentazione pittorica, non più come una semplice superficie da coprire, ma come un fatto tridimensionale, quasi scultoreo. Terminata l’esperienza di Arezzo l’artista rientra a Firenze dove esegue alcuni dipinti su tavola che ben evidenziano questo aspetto. Per esempio:
Crocefisso 1296-1300 – tempera su tavola (Santa Maria Novella a Firenze).
L’iconografia è quella del “Christus patiens” e la forma del Crocifisso rimanda a quello di Greccio.
Nella cimasa abbiamo un’iscrizione d’oro su sfondo rosso, nei terminali Maria a sinistra, Giovanni Evangelista a destra a mezzo busto, con spalle ampie, squadrate, sguardi seri, pose solenni, con panneggi classicheggianti con pieghe fitte. L’orecchio di Giovanni ha forma quasi ad ansa di vaso. La croce è considerata qualcosa di concreto, infatti il piede si allarga a formare un triangolo per dare una solida base d’appoggio con sotto la roccia e il teschio di Adamo.
Il corpo di Cristo è molto umanizzato, scade in avanti con pesantezza, l’anatomia è realistica, zampilla del sangue dal costato e dai piedi, le gambe piegate suggeriscono un minimo di profondità. Nell’aureola ci sono piccoli frammenti di vetro azzurro.
L’opera mette in evidenza l’umanità del Cristo che viene rappresentato con realistica plasticità come un corpo che cade.
L’immagine sacra non si limita a rappresentare l’astratto valore del simbolo ma acquisisce anche la concretezza di un evento storico realmente accaduto.
Crocefisso
Nel 1300, in occasione del giubileo, Giotto va a Roma per eseguire vari lavori di cui però nulla è rimasto di sicuramente autografo. Segue Rimini dove realizza un importante Crocefisso per il Tempio malatestiano, e poi Padova dove per incarico del banchiere Enrico Scrovegni decora la cappella privata adiacente al palazzo di famiglia.
Cappella degli Scrovegni 1303-1305 – affreschi (Padova)
Il committente, Enrico degli Scrovegni, è un ricco borghese che vuole con tale opera esibire il proprio potere ed acquisire ulteriore prestigio per poter realizzare le sue ambizioni politiche, vuole inoltre rimediare al peccato d’usura da parte del padre Reginaldo.
La Cappella è dedicata alla Madonna e viene anche chiamata la Cappella dell’Annunciata.
La pianta è semplice, rettangolare, piccola, un’unica navata e un abside. E’ coperta con volte a botte in cui è dipinto un cielo stellato con medaglioni raffiguranti Cristo e la Vergine circondati dai profeti.
E’ asimmetrica perché ha finestre solo sul lato destro, mentre a sinistra ha il muro del palazzo. Le finestre sono 6 monofore ogivali, nella controfacciata c’è una trifora. Le cornici in questo caso non sono prospettiche (come per gli affreschi della Basilica di San Francesco ad Assisi) ma sono bordi piatti con motivi cosmateschi.
Gli affreschi narrano episodi della vita di Gesù a partire dagli eventi che la precedono per giungere fino alla Pentecoste e l’ordine per leggere gli episodi è a spirale, dal registro più alto a destra (volgendo le spalle all’ingresso) al più basso.
Nell’arco trionfale sono dipinti due finti coretti, Giotto finge, attraverso la tecnica del trompe d’oeil, che esistano dei balconi affacciati sulla cappella, simula una profondità spaziale oltre i limiti della parete. I coretti sono dipinti in prospettiva unitaria ed hanno in comune il punto di fuga.
Sulla parete di sfondo c’è una bifora gotica.
Rispetto agli affreschi di Assisi, i riquadri sono più piccoli ma le proporzioni delle figure sono ancora le stesse, i colori sono più sfumati e si notano nuove tonalità: gialli chiarissimi, rosa e azzurri intensi. I contorni sono meno duri e rigidi, più fluidi ed i sentimenti resi con più intensità. Il tono narrativo è più alto e solenne che ad Assisi dove la Cappella era dedicata ad un santo popolare, San Francesco, mentre in questo caso il soggetto è Gesù.
La cappella degli Scrovegni
Madonna in maestà 1310 – tempera su tavola (Firenze)
Dopo Padova Giotto fece ritorno a Firenze dove dipinse Madonna in maestà, noto anche come Madonna d’Ognissanti perché situato in origine nella chiesa di Ognissanti a Firenze. La pala fu ideata per essere collocata sull’altare maggiore e il trono della Vergine doveva segnare il punto focale della prospettiva della navata.
E’ una tempera in oro su tavola cuspidata.
L’iconografia è quella della Maestà, tema già affrontato da Duccio e Cimabue. La figura della Vergine, pur mantenendo un aspetto sacro e solenne, esprime grande umanità ed ha il volto sereno, quasi sorridente. Rispetto alle Madonne duecentesche dall’espressione distaccata e, a volte, triste, questa di Giotto è più umanizzata, è sempre più evidente il distacco dalla fissità delle icone bizantine.
L’architettura ha sicuramente meno rilievo delle figure. C’è contrasto tra il corpo solido, massiccio di Maria e la struttura esile e leggera del trono gotico. La Madonna è frontale e sostiene il bambino benedicente.
Il trono, riccamente decorato, è in prospettiva centrale e suggerisce uno spazio profondo, come pure i personaggi scalati su più piani.
C’è un grande naturalismo nei dettagli come si può vedere, ad esempio, dai vasetti di fiori, dai gigli bianchi e le rose bianche e rosse che simboleggiano la purezza di Maria. Restano legati alla tradizione bizantina il fondo oro e le proporzioni gerarchiche.
Madonna in Maestà
Gli ultimi trent’anni di attività di Giotto sono caratterizzati da altri spostamenti: da Firenze a Napoli, a Milano, a Bologna.
Le ultime testimonianze sono gli affreschi nella chiesa francescana di Santa Croce, per la quale Giotto dipinse 4 cappelle di cui oggi rimangono solo i dipinti delle cappelle Peruzzi e Bardi (dai nomi dei committenti, potentissimi banchieri fiorentini).