GIORDANO BRUNO
(1548 -1600)
VITA
Giordano (vero nome Filippo) Bruno nacque a Nola nel 1548. Molto giovane entrò nel convento di San Domenico a Napoli dove fu ordinato sacerdote (e gli fu imposto il nome di Giordano). Manifestò ben presto uno spirito di insofferenza e ribellione. Fuggì da Roma e si rifugiò al Nord. Visse in Francia e poi in Inghilterra. Nel 1585 ritornò a Parigi ma non godendo più della protezione del Re Enrico III dovette fuggire e si rifugiò in Germania (Wittenberg e Francoforte). Tornò infine in Italia nel 1591 ed in quello stesso anno fu denunciato (dal nobile veneziano Giovanni Moncenigo) al Santo Uffizio. Nel 1592 incominciò a Venezia il processo conclusosi con la ritrattazione di Bruno. Nel 1593 il filosofo venne trasferito a Roma e sottoposto a un nuovo processo. Venne condannato a morte per rogo che venne eseguita al Campo dei Fiori il 17 febbraio 1600. Bruno non rinnegò il suo credo filosofico-religioso e morì per testimoniarlo.
PENSIERO
Ciò che contraddistingue il pensiero bruniano è di carattere magico-ermetico. Bruno si colloca sulla scia dei Maghi-filosofi rinascimentali e il suo pensiero può essere inteso come un messaggio di salvezza improntato al tipo di religiosità egiziana.
Egli riconduce la magia rinascimentale alle sue fonti pagane e si proclama un Egiziano convinto che deplora la distruzione, operata dai cristiani, del culto degli dei naturali della Grecia e della religione attraverso cui gli egiziani avevano raggiunto le idee divine, il sole intelligibile, l’Uno del neoplatonismo. In sostanza l’egizianismo di Bruno è una religione, la “buona religione” distrutta dal Cristianesimo, cui bisogna tornare, e di cui egli si sente profeta, investito appunto della missione di farla rivivere. (la magia ha lo stesso scopo della scienza, dominare il reale).
Per comprendere il pensiero di Giordano Bruno bisogna tener conto che egli venne alla ribalta verso la fine del XVI secolo, di quel secolo che vide terribili manifestazioni di intolleranza religiosa e nel quale si cercò nell’ermetismo religioso un rifugio di tolleranza, una via che portasse all’unione delle varie sette in lotta tra loro.
Durante il soggiorno in Inghilterra Bruno compose e pubblicò i dialoghi italiani che sono i suoi capolavori. A Oxford egli espose una visione dell’universo copernicana, incentrata sulla concezione eliocentrica e sull’infinitudine del Cosmo, collegandola alla magia astrale e al culto solare quale era stato proposto da Ficino. Ne nacque uno scandalo e Bruno fu costretto ad abbandonare l’aula.
I suoi fondamenti filosofici ammettono che al di sopra di tutto ci sia una causa o un principio supremo che egli chiama anche “mente sopra le cose” da cui tutto il resto deriva, ma che ci rimane inconoscibile. Tutto l’universo è effetto di questo primo principio; ma dalla conoscenza degli effetti non si può risalire alla conoscenza della causa, così come dalla visione di una statua non si può risalire alla visione dello scultore che l’ha costruita (anzi, dice Bruno, il paragone della statua è inadeguato perché la statua, che è finita, può essere conosciuta pienamente; l’universo invece è infinito). “Tutto è vivo” ha per Bruno un significato diverso rispetto a Telesio. Per quest’ultimo Dio è trascendente e la vita del mondo è la vitalità che Dio ha dato alla materia e non ha nulla a che fare con la vita divina; per Bruno Dio è immanente e la vita del cosmo diventa vita divina, ossia l’espandersi infinito della stessa vita di Dio.