FRIEDRICH SCHELLING
(1775 -1854)
VITA
Schelling è da annoverare tra i grandi filosofi dell’idealismo tedesco.
Ha avuto una parabola molto particolare. Le idee fondamentali della sua filosofia sono state concepite da lui prima dei venticinque anni, addirittura il primo scritto importante risale a vent’anni. Poi c’è stata una pausa lunghissima, una pausa che soprattutto è dominata dalla figura di Hegel; dopo il tramonto dell’hegelismo riemerge Schelling, uno Schelling che ha approfondito il problema del rapporto con l’assoluto, ma sfociando nel misticismo e creando la premessa per tutto l’irrazionalismo dell’800. Si tratta dunque di un filosofo che ha avuto una parabola lunga, ma molto curiosa: già a quindici, sedici anni dialogava con Hegel e iniziò a scrivere i primi abbozzi di opere filosofiche. A venticinque il suo sistema è praticamente concluso, poi ha una lunga pausa e alla fine riemerge come un filosofo irrazionalista.
PENSIERO
Premesso che:
- La filosofia di Kant è una filosofia del finito e si muove nell’ambito dell’illuminismo.
- La filosofia di Fichte è una filosofia dell’infinito e apre l’epoca del romanticismo.
- Il problema da cui parte Schelling, e che caratterizzerà tutta la filosofia idealistica, è quello della conciliazione dell’uno con il molteplice, ovvero, dell’infinito con il finito.
Schelling aderisce al fichtismo e lo utilizza nell’ambito naturalistico-estetico. Egli riporta l’Io assoluto alla Sostanza di Spinoza:
- La Sostanza di Spinoza è il principio dell’infinità oggettiva;
- L’Io di Fichte è il principio dell’infinità soggettiva;
Schelling vuole unire le due infinità nel concetto di un Assoluto che non è riconducibile né al soggetto né all’oggetto. Questo perché egli si accorge che una pura attività soggettiva (l’Io di Fichte) non potrebbe spiegare la nascita del mondo naturale; ed un principio puramente oggettivo (la Sostanza spinoziana) non potrebbe spiegare l’origine dell’intelligenza e dell’io.
L’Assoluto non è soggetto e non è oggetto ma è l’unità o identità indifferenziata (non vi è priorità dell’uno sull’altro) di:
- Soggetto e oggetto;
- Spirito e natura;
- Ideale e reale;
- Conscio e inconscio.
Ora, se la totalità è l’unione di soggetto e oggetto, di finito e infinito, di spirito e materia, di io e mondo, dice Schelling, si potranno avere 2 possibili direzioni della ricerca filosofica:
- O si va dalla natura all’io, si parte dall’oggetto e si deve spiegare come nasce il soggetto, e si ha la filosofia della natura;
- oppure, si va dall’io al mondo , cioè dal soggetto per spiegare l’oggetto, e si ha la filosofia dello spirito, la filosofia trascendentale.
La filosofia della natura: diretta a mostrare che la natura si risolve nello spirito, perché non c’è una natura che sia puramente natura (cioè pura oggettività):
Se la natura è un’oggettivazione, è la parte oggettiva dell’assoluto, allora deve contenere in sé anche lo spirituale: la natura non è semplicemente qualche cosa di materiale, ma è anche qualche cosa di spirituale e di ideale. Schelling arriverà a dire che la natura è preistoria della coscienza o coscienza pietrificata, cioè è spirito che si manifesta in forme materiali.
Schelling rifiuta il concetto fichtiano della natura (non-io/materia) e sostiene che la natura ha vita, razionalità e quindi valore in se stessa. Per Schelling la natura non è estranea allo spirito, bensí è spirito oggettivato. Schelling vede in tutta la natura, a partire dai fenomeni più elementari, l’agitarsi del logos, dell’intelligenza, dell’idea, che poi sboccia nell’uomo.
Complessivamente considerata la natura si configura come un processo in cui si ha una progressiva materializzazione della materia e un progressivo emergere dello spirito. In altri termini la natura è un’odissea dello spirito che si cerca attraverso le cose per giungere finalmente presso di sé, con l’uomo.
Schelling rifiuta i 2 tradizionali modelli esplicativi della natura: quello meccanicistico-scientifico e quello finalistico-teologico. A questi 2 modelli egli contrappone il proprio ⇒organicismo finalistico immanentistico:
- Organicismo perché ogni parte ha senso solo in relazione al tutto e alle altre parti;
- Finalistico-immanentistico perché nell’universo si manifesta anche una finalità superiore che però non deriva da un intervento esterno ma è interno alla natura stessa (finalismo-immanentistico).
In altri termini la natura è “un organismo che organizza se stesso” e non una creazione di un Dio-architetto. La natura è vista come un’entità spirituale inconscia immanente nella natura. La natura, “anima del mondo”, costituisce un tutto vivente, ovvero un immenso organismo in cui ogni cosa compresa la sfera inorganica, risulta dotata di vita.
La natura si realizza dialettizzandosi in 2 principi di base: l’attrazione e la repulsione. Ogni fenomeno si origina da un’azione e da una reazione e la natura agisce attraverso la lotta di forze opposte presenti nei corpi e che operano o meccanicamente (gravitazione) o chimicamente (affinità). Sono possibili 3 casi:
- Se le forze sono in equilibrio si hanno i corpi non-viventi;
- Se l’equilibrio viene rotto e poi ristabilito si ha il fenomeno chimico;
- Se l’equilibrio non viene ristabilito e vi è una lotta permanente tra le forze allora si ha la vita.
Schelling si differenzia da Fichte su 2 concetti chiave:
- L’assoluto come natura e spirito
- Il valore autonomo della natura
La filosofia trascendentale: diretta a mostrare come lo spirito si risolve nella natura, perché non c’è uno spirito che sia puramente spirito.
La filosofia trascendentale procede in senso inverso, cioè dal soggetto all’oggetto, alla natura.
Se la filosofia della natura parte dall’oggettivo per derivarne il soggettivo (= lo spirito), mostrando il progressivo farsi intelligenza della natura, la filosofia trascendentale parte dal soggettivo per derivarne l’oggettivo, mostrando il progressivo farsi natura dell’intelligenza.
In altre parole se la filosofia della natura parte dal realismo (dall’oggetto, dal reale e dal materiale) per giungere all’idealismo (al soggetto, all’ideale e al formale), la filosofia trascendentale parte dall’idealismo per giungere al realismo.
In sintesi la filosofia ha il compito, analogo a quello affrontato da Fichte, di dedurre l’oggetto dal soggetto.
Come avviene questo processo?
Nello sviluppo dell’io ci sono tre epoche:
- in un primo momento l’io è rivolto semplicemente all’esterno e riceve passivamente i dati dall’esterno. E’ la fase della sensazione, nella quale l’io è passivo di fronte ai messaggi che gli vengono dalle realtà sensibili. Questo momento si può anche paragonare con la fase dell’empirismo ingenuo in filosofia.
- Nella seconda fase, la coscienza non rispecchia semplicemente i dati esterni, ma riflette su se stessa, l’io riflette sui suoi modi di organizzare la conoscenza esterna, e si ha la fase della riflessione. Questa fase riproduce i procedimenti kantiani: il rintracciare le categorie, i modi di organizzazione della conoscenza che Kant aveva già delineato.
- Infine l’io supera questo suo porsi di fronte al mondo e arriva al porre se stesso. Questa è la filosofia di Fichte. Una volta che l’io si è pienamente sviluppato si contrappone alla realtà, oltre che un io conoscente è anche volontà, quindi è già qualche cosa che si protende verso il mondo, e opera e quindi dà luogo alla filosofia pratica. Adesso l’io si è pienamente costituito come soggetto autocosciente e cerca di influenzare la realtà pratica.
Non è possibile la filosofia della natura senza la filosofia trascendentale: ciascuna coglie solo una metà della realtà. Bisogna congiungere l’una con l’altra.
A questo punto per Schelling si pone un problema radicale: come cogliere l’identità tra oggetto e soggetto. Se c’è un rapporto tra soggetto ed oggetto, non è perché c’è un Dio che fornisce dall’inizio dei tempi un’armonia prestabilita a questi rapporti, ma evidentemente ci deve essere un elemento originariamente unitario tra soggetto e oggetto.
Egli deve cercare un mezzo, che gli permetta di cogliere oggettivo e soggettivo insieme, e approda all’identificazione di questo elemento nell’arte.
L’arte: Schelling sostiene che l’artista da una parte opera inconsapevolmente, cioè o ha l’ispirazione, oppure se non ce l’ha, non se la può dare con uno sforzo cosciente. Quello che si chiama “ispirazione” viene inconsapevolmente all’artista. Nella produttività artistica c’è un elemento inconscio, però se non c’è poi uno sforzo cosciente, cioè la capacità di plasmare i materiali, il marmo e il legno, di usare i colori, se non si conoscono le tecniche con cui si compongono le rime, le note, ecc., cioè se non c’è poi uno sforzo cosciente per dare forma ai materiali inconsci che vengono dall’ispirazione, l’opera d’arte non nasce. Essa è il frutto da una parte di una ispirazione inconsapevole, non controllata dall’artista, quindi non cosciente, inconscia, e dall’altra parte di uno sforzo cosciente per comunicare. L’opera d’arte stessa poi è il regno dell’incontro tra il materiale e lo spirituale, perché nell’opera d’arte ovviamente non vale la materia in quanto tale: viene attribuito un valore estetico all’opera d’arte non perché è fatta di materiali preziosi (anzi spesso le opere d’arte sono fatte di materiali molto deperibili), ma per l’elemento ideale, spirituale che è calato profondamente, in maniera inscindibile, nell’elemento materiale. Quindi sia da parte del genio creatore artistico, sia da parte dell’oggetto, c’è una compresenza di reale e ideale, di spirituale e materiale, di soggettivo e di oggettivo, di conscio e di inconscio, e lo stesso avviene anche nel momento felice dell’estasi da parte di chi contempla l’opera d’arte. Chi contempla l’opera d’arte, a un certo punto si immedesima nell’opera stessa, viene rapito dalla bellezza dell’opera, si ritrova in uno stato estatico, cioè si identifica con l’oggetto, supera la propria soggettività.
Quindi la sfera dell’arte, sia dal punto di vista di chi la crea, sia dal punto di vista di chi la fruisce, sia dal punto di vista proprio dell’opera d’arte di per se stessa, è un luogo di incrocio, di intreccio inscindibile di materiale e di spirituale, di soggettivo ed oggettivo, di conscio e di inconscio.