MICHEL FOUCAULT
Storia della Follia



Vita

Michel Foucault, nato nel 1926 a Poitiers, studiò filosofia e psicologia all'Ecole Normale Supèrieure di Parigi e, in seguito, lavorò presso istituti culturali francesi a Uppsala, Varsavia e Amburgo e nel 1970 ricevette la nomina di professore di storia dei sistemi di pensiero al Collège de France. Fu uno dei maggiori teorici dello strutturalismo (gli strutturalisti difendono il primato della struttura sull'uomo, sostenendo che l'individuo non è libero e attore autentico delle proprie scelte e azioni, ma il risultato di strutture che agiscono per lo più a livello inconscio). Muore a Parigi nel 1984.


Storia della follia nell’età classica

La follia è una tematica cara a Foucault, ne parla nel suo discorso introduttivo alla lezione inaugurale al Collége de France, ma appartiene anche al passato, perché il titolo originale della prima opera importante dello storico e filosofo francese, Storia della follia nell’età classica, era Folie et déraison. Histoire de la folie à l'âge classique ed era stata la sua tesi di dottorato. Contiene uno studio ed un’analisi critica, radicale e spregiudicata dell'autore sugli sviluppi dell'idea della follia attraverso la storia.
Foucault dedica speciale attenzione al modo in cui lo status di folle evolve, dalla figura accettata, se non addirittura "riconosciuta", nell'ordine sociale, alla figura dell'escluso, del malato da rinchiudere tra quattro mura.
Per raccontare la storia della follia Foucault concentra la sua analisi in particolare sull’età classica e cioè quel periodo che, nella cultura francese, va dalla fine del Rinascimento alla Rivoluzione. Ma per comprenderne meglio la sua specificità egli fa partire l’indagine da un momento più lontano nel tempo: la fine del Medioevo.
L’opera di Foucault si divide in tre parti:

  1. La follia tra medioevo e età classica - nel primo capitolo “Stultifera Navis”, titolo che prende spunto da un'opera del celebre pittore fiammingo Hyeronimus Bosch, Foucault analizza la follia così come veniva interpretata nel Medioevo, cioè come una forma di possessione da parte di spiriti maligni.
    In questo periodo la concezione di follia è ancora inserita nell’antica contrapposizione Bene/Male come parte inscindibile dell’umana tragicità. Il folle è l’immagine dell'insensatezza e della dissolutezza umana, collocato ai margini della società ma mai escluso da essa.
    Il folle, nel Medioevo, è visto anche come il possessore di un sapere oscuro e impenetrabile, che può accedere a realtà impercettibili all'uomo comune, realtà superiori che nascondono segreti misteriosi o rivelazioni religiose. Spesso è associato alla figura del mago e del sapiente: “il folle, nella sua innocente grullaggine, possiede questo sapere così inaccessibile e così temibile… lo porta in una sfera intatta: questa palla di cristallo, che per tutti è vuota, è piena ai suoi occhi di un sapere invisibile”.
    Nel Medioevo il folle è frequente oggetto di rappresentazione artistica e allegorica e Foucault precisa che la "nave dei folli", descritta come “strano battello ubriaco che fila lungo i fiumi della Renania e i canali fiamminghi”, oltre ad essere un tema artistico e letterario era anche un’usanza reale. Era prassi comune allontanare gli insensati, che spesso conducevano una vita vagabonda, dalla comunità dei "normali". Il compito era a volte affidato a dei battellieri, a gente di mare: “Accadeva spesso che venissero affidati a battellieri: a Francoforte, nel 1399, alcuni marinai vengono incaricati di sbarazzare la città di un folle che passeggiava nudo; nei primi anni del XV secolo un pazzo criminale è spedito nello stesso modo a Magonza. Talvolta i marinai gettano a terra questi passeggeri scomodi ancor prima di quanto avevano promesso; ne è testimone quel fabbro di Francoforte, due volte partito e due volte ritornato, prima di essere ricondotto definitivamente a Kreuznach. Le città europee hanno spesso dovuto veder approdare queste navi di folli.”.
    Nei capitoli seguenti l’analisi si focalizza sulla concezione della follia nell’età Classica. La nascita della razionalità moderna, tra Rinascimento e Seicento, non segna l’avvento di una più larga tolleranza, ma al contrario conduce all’isolamento della follia, che da divina o demoniaca mania, quale era nell’antichità e quale era ancora nel Medioevo, viene segregata come patologia.
    Con il prevalere della ragione cambia dunque completamente l’orizzonte ed il folle viene visto come individuo da allontanare dalla coscienza sociale. Il folle diventa una minaccia, un pericolo e prende il posto dei lebbrosi tra i reietti della società.
    I lebbrosari rivelano nuovamente la loro utilità nell’accogliere una vasta umanità di individui respinti dalla città, diventando ospedali e nello stesso tempo carceri. Il posto occupato dalla lebbra è rimasto vuoto per più di due secoli, finché a fine Rinascimento l’eredità della lebbra sarà raccolta dalla follia.
    La follia, non più ricondotta all’intervento di forze demoniache, viene vista come un errore ed il folle è una persona che si inganna di propria volontà e che persevera nell’errore. Il folle non è vittima di un’illusione, di un’allucinazione dei sensi. “Egli non è ingannato; si inganna.” (la responsabilità personale nella follia costituisce uno degli aspetti su cui indagherà Freud, che attribuirà l’origine della follia alle dinamiche dell’inconscio).
    La follia viene determinata dallo stravolgimento del rapporto dell’uomo con la verità, sia di una verità fisica (quando l’uomo è vittima di allucinazioni o abbia disordini percettivi), sia di una verità morale (quando l’uomo è preda di passioni non controllabili, eccessive), e vi è dunque una negazione della ragione.
    L’internamento dei malati di mente nei manicomi, iniziato a partire dal 700, è finalizzato ad isolare i folli escludendoli dall’ordine sociale e dalla vita pubblica.
    I folli chiusi in case d’internamento, sono soggetti a maltrattamenti e costretti a vivere in condizioni igieniche pessime, privi anche dei più elementari beni di prima necessita come l’acqua e il cibo.
    Emblema delle nuove strutture dedicate all’isolamento è l’Hopital General di Parigi, definito da Foucault nella sua opera “il terzo stato della repressione”. Si tratta di uno dei primi ospedali con la funzione di accogliere e “correggere” i folli e gli alienati. Più che ad un’istituzione medica in realtà assomiglia ad un istituto di detenzione che esercita un’autorità assoluta sui degenti.
    Il ricovero ed i metodi si risolvono essenzialmente nel castigo dei folli. Gli internati devono imparare a comportarsi normalmente ed il metodo adottato è la coercizione e la repressione. L’obiettivo è la sottomissione completa affinché tutti si conformino alle regole stabilite. Foucault ravvisa in tali metodi una mera brutalizzazione reiterata del paziente.
    Ben presto le case di correzione cominceranno a diffondersi dappertutto, in Francia ed in Europa, e a diventare strumento del potere.
    Con l’esperienza correzionaria si assiste al ribaltamento di concezioni etiche e religiose proprie del Medioevo. Mentre nel Medioevo la sensibilità verso il folle era legata a trascendenze immaginarie, ora il folle è giudicato in virtù della sua inutilità sociale e viene quindi condannato ed escluso, insieme ai poveri, ai malati ed ai criminali.
    Dunque l’Età Classica diventa il momento in cui la follia è percepita nell’ambito sociale della povertà, dell’incapacità al lavoro, dell’impossibilità di integrarsi al gruppo; è cioè il momento in cui essa comincia a far parte dei problemi dell’ordinamento civile.
    Nell’Età Classica si compie la più grande delle follie: pretendere di poter eliminare la follia isolandola e definendola.
    Anche la Chiesa emargina il folle considerato un nullafacente nel peccato, perché solo con il lavoro si può sperare nella grazia di Dio. L’inutilità sociale di questi soggetti li condanna all’isolamento e alla segregazione in luoghi in cui vengono privati di qualsiasi forma di libertà e annullati come esseri umani.


  2. L’anima del folle - La seconda parte del libro si rivolge al problema che riguarda l’implicazione dell’anima nella follia, se questa sia da considerarsi o meno nel peccato.
    Le concezioni proposte sono due:
    • la prima riguarda i giuristi e i teologi che considerano il folle innocente e quindi prospettano una possibile rivalsa che può essere ottenuta attraverso il pentimento. “la sua anima è rimasta in ritiro, protetta dalla malattia, e da essa stessa preservata dal male”.  In questo caso quindi l’anima dei folli non è folle.
    • Opposta è la teoria di Voltaire che considera l’anima dei folli folle oppure assente. Voltaire parte dalla considerazione che “l’anima non è, per sua natura, differente da qualsiasi senso.”

    Ciò fa emergere il problema della dissociazione dell’anima e del corpo che in seguito, nel XIX secolo, porterà all’affermazione di una psichiatria spiritualista e una psichiatria materialista: una concezione della follia che la riduce al corpo e l’altra che la lascia valere nell’elemento immateriale dell’anima.
    Sempre nella seconda parte, Foucault, descrive quattro aspetti della follia: la demenza e la frenesia, la mania e la malinconia.

    • La demenza è l’incapacità di fare considerazioni corrette, di giudicare la realtà in modo sensato e assume diversi nomi in base all’età d'insorgenza: stupidaggine nell’infanzia, nell’età della ragione imbecillità e nella vecchiaia rimbambimento;
    • La frenesia è invece frutto di un disordine mentale che provoca forte febbre e incide sui nervi, i sintomi portano a una più certa diagnosi sia delle cause sia dell’entità dei disturbi che seguiranno. A differenza della demenza che è una malattia apiretica, i sintomi sono sempre gli stessi ma il malato potrà presentare disturbi della cognizione differenti;
    • La malinconia: il malinconico è colui che, occupato dalla riflessione e l’immaginazione, preda dell’immobilità resta in ozio; egli è facilmente soggetto alla tristezza e alla paura;
    • La mania: il maniaco invece è occupato da un flusso intenso di pensieri tumultuosi e ciò lo induce ad atteggiamenti furiosi.

  3. La distinzione tra sragione e follia - Nell’ultima parte dell’opera, viene descritta la grande paura che si propaga a partire dalla seconda metà del XVIII secolo a causa della peste, di “un male misterioso che si propaga, si dice, a partire dalle case di internamento e minaccia ben presto le città.”. L’origine di ogni epidemia viene ricercata nelle strutture dell’internamento. In questo modo il folle ridiventa personaggio sociale e ci si interroga di nuovo su di lui. Riappare dunque “questa sragione che era stata messa in disparte nella distanza dell’internamento...”.
    Viene però fatta una distinzione tra sragione e follia, si contrappone l’insensato, che rappresenta la “ragione pervertita” e in lui avviene uno scambio continuo tra ragione e sragione, all’alienato, che ha perso ogni cognizione della realtà ed è completamente abbandonato all’illusione, quindi in lui avviene una rottura tra ragione e sragione.
    Da questa distinzione appare evidente la riconsiderazione che si sta compiendo nei confronti dei folli, a cui farà seguito una protesta contro l’internamento e un periodo di riforma.
    Infatti man mano che si procede nel secolo le proteste contro l’internamento si fanno sempre più vive, la polemica si dirige sulla funzione e l’essenza dell’internamento e soprattutto sulla promiscuità di folli e sani di mente.
    Nasce un grande movimento di riforma che alla fine del XVIII secolo, inizio del XIX, si concluderà con la nascita , cinquanta anni dopo, del primo manicomio o asilo moderno.
    L’asilo ha come obbligo la cura dei pazienti e l’assistenza diviene un dovere sociale.
    I folli non verranno più internati con i vagabondi, i criminali, i poveri ma resteranno comunque dei reclusi.  La follia resta reclusa da sola, si libera di tutta quella massa indistinta di diseredati con cui condivideva l’internamento e diviene l’ambito di governo di una nuova scienza, la psichiatria.

Nota: Le citazioni sono tratte da: Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica, ed. Bur Rizzoli, 2005.