LA FORMAZIONE DELL’ARCHITETTO
(De Architectura, I, 11/13)
Vitruvio
VERSIONE MATURITA’ LICEO CLASSICO - anno 2000

TESTO

Cum ergo tanta haec disciplina sit, condecorata et abundans eruditionibus variis ac pluribus, non puto posse se iuste repente profiteri architectos, nisi qui ab aetate puerili his gradibus disciplinarum  scandendo scientia plerarumque litterarum et artium nutriti pervenerint ad summum templum  architecturae. At fortasse mirum videbitur imperitis, hominis posse naturam tantum numerum  doctrinarum perdiscere et memoria continere.

Cum autem animadverterint omnes disciplinas inter se coniunctionem rerum et communicationem habere, fieri posse faciliter credent, encyclios enim disciplina uti corpus unum ex his membris est composita. Itaque qui a teneris aetatibus eruditionibus variis instruuntur, omnibus litteris agnoscunt easdem notas communicationemque omnium disciplinarum, et ea re facilius omnia cognoscunt.

Ideoque de veteribus architectis Pytheos, qui Prieni aedem Minervae nobiliter est architectatus, ait in suis commentariis architectum omnibus artibus et doctrinis plus oportere posse facere, quam qui singulas res suis industriis et exercitationibus ad summam claritatem perduxerunt. Id autem re non expeditur. Non enim debet nec potest esse architectus grammaticus, uti fuerat Aristarchus, sed non agrammatus, nec musicus ut Aristoxenus, sed non amusos, nec pictor ut Apelles, sed graphidos non imperitus, nec plastes quemadmodum Myron seu Polyclitus, sed rationis plasticae non ignarus, nec denuo medicus ut Hippocrates, sed non aniatrologetus, nec in ceteris doctrinis singulariter excellens, sed in his non imperitus.

TRADUZIONE E ANALISI

Poiché (cum con valore causale) dunque questa scienza [l’architettura] è così vasta, adorna e ricca di varie e molteplici (variis ac pluribus – ablativi di mezzo e di abbondanza retti da con decorata e abundans) conoscenze (eruditionibus), non ritengo (non puto) che possano legittimamente (iuste) qualificare (profiteri) se stessi (se) all’improvviso (repente) come architetti, se non (nisi) coloro che (qui da intendere come eos qui), salendo (scandendo, gerundio in ablativo con valore strumentale) fino dalla fanciullezza (ab aetate puerili) i gradini (gradibus) dell’apprendimento di queste discipline, nutriti dalla conoscenza della maggior parte delle lettere e delle arti, abbiano raggiunto (pervenerint) la sommità del tempio dell’architettura (metafora).
Ma forse (at fortasse) sembrerà stupefacente (videbitur – costruzione impersonale) agli inesperti (imperitis – aggettivo sostantivato) che la natura umana (lett. dell’uomo) possa apprendere e tenere a memoria (memoria continere) un così grande numero di saperi.
Quando (cum con valore temporale) però [costoro] avranno compreso (animadverterint) che tutte le discipline tra loro (inter se) hanno comunanza di contenuto (rerum) e connessioni, si convinceranno che [ciò] possa facilmente avvenire (fieri), infatti (enim) il sapere enciclopedico (encyclios disciplina, grecismo) è composito come (uti equivale a ut) un corpo unico [è composto] da membra (his membris lett. queste membra).
E così coloro che dalla tenera età (nel testo è al plurale) vengono istruiti (instruuntur) con vari insegnamenti sanno riconoscere (agnoscunt) in tutte le dottrine (litteris) le medesime caratteristiche (notas) e le connessioni tra tutte le discipline, e in tal modo (ea) apprendono più facilmente ogni cosa (omnia).
E perciò tra gli architetti del passato (veteribus) Piteo, che costruì con grande maestria (nobiliter = egregiamente, mirabilmente) il tempio (aedem) di Minerva a Priene, nei suoi Commentari afferma (ait) che l’architetto deve essere in grado di contribuire a tutte le arti e scienze più di coloro che (la comparatio compendiaria è introdotta da quam) condussero le singole discipline, con le loro attività ed esperienze, al massimo splendore (summam claritatem). Questo, però, non trova  riscontro (expeditur) nella realtà (re). Un architetto, infatti, non deve né può essere (debet nec potest esse) un grammatico come era stato (fuerat) Aristarco, ma neppure [sottinteso da qui in poi, anche in latino: deve essere/debet esse] illetterato, né un musicologo come [sottinteso da qui in poi, anche in latino: era stato/fuerat] Aristosseno, ma neppure ignorante di musica, né un pittore come Apelle, ma neppure incompetente nel disegno (graphidos, genitivo alla greca per graphidis), né uno scultore (plastes) come (quemadmodum al posto di ut) Mirone o Policleto, ma neppure ignaro di arte plastica, né, ancora, un medico come Ippocrate, ma neppure analfabeta in fatto di medicina (aniatrologetus, altra parola greca), né eccellere in tutte le altre scienze prese singolarmente (singulariter), ma neppure essere ignorante in esse.


Commento:

Questo brano fa parte del Proemio del De Architectura in cui Vitruvio disserta sulla figura dell’architetto. L'architettura rappresenta l'arte massima che contiene in sé tutte le altre e l’architetto non può quindi limitarsi ad apprendere solo le nozioni tecniche proprie della sua scienza ma deve formarsi in tutti i campi del sapere, di conseguenza diventare architetto significa giungere al massimo del sapere.
La metafora introdotta da Vitruvio della formazione dell’architetto paragonata alla salita compiuta gradino per gradino di un tempio sacro fino alla sua massima sommità sta a significare il valore elevato, enciclopedico e pluridisciplinare attribuito all’architettura e conferisce una sorta di sacralità alla figura dell’architetto.
Il brano presenta numerose difficoltà sia sintattiche che lessicali.
Nell’ultima parte del brano, Vitruvio introduce vari parallelismi e termini tecnici che spesso sono traslitterazioni di parole greche.