LA CREAZZIONE DER MONNO
Giuseppe Gioacchino Belli
- L'anno che Gesucristo impastò er monno,
- ché pe impastallo già c'era la pasta,
- verde lo vorze fà, grosso e ritonno,
- all'uso d'un cocommero de tasta.
- Fece un zole, una luna, e un mappamonno,
- ma de stelle poi dí una catasta:
- sú ucelli, bestie immezzo, e pesci in fonno:
- piantò le piante, e doppo disse: "Abbasta".
- Me scordavo de dì che creò l'omo,
- e coll'omo la donna, Adamo e Eva;
- e je proibbì de nun toccaje un pomo.
- Ma appena che a maggnà l'ebbe viduti,
- strillò per Dio con quanta voce aveva:
- "Ommini da vienì, sete futtuti
Gesucristo = sta per Dio Padre, secondo uno scambio con Dio che doveva essere frequente nel linguaggio popolare. Questo errore contribuisce a sottolineare il tono disincantato del sonetto.
impastallo già c'era la pasta = in questo modo il Poeta degrada la sublimità del concetto di creazione; per creare il mondo Dio doveva già possedere la materia prima (la pasta – metafora), preesistente all'atto della creazione stessa.
vorze = volle; ritonno = rotondo; all'uso d'un cocommero de tasta = alla maniera di un cocomero (cocommero - metafora) d'assaggio (la tasta è il tassello che s'incide nei cocomeri per accertarsi che siano maturi).
Zole = sole; mappamonno = la terra; poi dí = puoi dire; catasta = una quantità enorme; sú = in alto, nell'aria; immezzo = sulla terra; in fonno = in fondo al mare; Abbasta = basta.
Je proibbí = gli proibì; nun toccaje = di non toccare - da notare la costruzione negativa dopo il verbo proibire.
Ommini da vienì, sete futtuti = uomini a venire, futuri (da vienì) siete (sete) rovinati.