FIGURE RETORICHE



Le FIGURE RETORICHE sono particolari forme espressive, artifici del discorso volti a dare maggiore incisività e un particolare effetto sonoro o di significato ad una descrizione, un’immagine, una sensazione, una emozione, ecc.
Si distinguono tradizionalmente le seguenti categorie di figure:
  • figure di contenuto: L’idea viene espressa in maniera più calzante ed evocativa, usando un’immagine che ha con essa una relazione di somiglianza.
    Tra le più usate: allegoria, antonomasia, catacresi, iperbole, metafora, metonimia, perifrasi, personificazione, prosopopea, similitudine, sineddoche, sinestesia.
  • figure di parola e di pensiero: Le parole vengono disposte nel verso con una tecnica particolare (figure di parole) riproducendo speciali effetti. Quando invece le proprie idee vengono arricchite di sfumature personali si hanno le figure di pensiero.
    Tra le più usate: allitterazione, anadiplosi, anafora, anastrofe, asindeto, chiasmo, climax, enallage, endiadi, epanadiplosi, figura etimologica, ipallage, iperbato, onomatopea, paronomasia, poliptoto, polisindeto, raddoppiamento, ripetizione, zeugma (di parola ); e : antitesi, eufemismo, ironia, ossimoro (di pensiero )
  • figure di sentimento: L’intensità dello stato d’animo poetico viene posto in rilievo modificando un suono o trasformando la struttura del verso.
    Le principali sono: apostrofe, epifonema, esclamazione, interrogazione, ipotiposi.


ALLEGORIA

L’allegoria (dal greco allon "altro" e agoreuo "dico" = "dire diversamente"), è la figura retorica (di contenuto) mediante la quale un concetto astratto viene espresso attraverso un’immagine concreta. È stata definita anche "metafora continuata".
Tra le allegorie tradizionali è celeberrima quella della nave che attraversa un mare in tempesta, fra venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i pericoli, i contrasti ecc., mentre il porto è la salvezza.
Il problema della comprensione delle allegorie dipende dalla loro maggiore o minore codificazione.

Esempi:
Nella Divina Commedia, Dante racconta un viaggio immaginario nel mondo dell’aldilà, che significa allegoricamente l'itinerario di un’anima verso la salvezza cristiana. Tutto il poema è infatti visto come un’allegoria.

Nel Canto notturno, di Leopardi, in cui v’è una stupenda allegoria tra il vecchierel, bianco, infermo… e la vita umana:
"…Vecchierel bianco, infermo,
mezzo vestito e scalzo,
con gravissimo fascio in su le spalle,
per montagna e per valle,
per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
al vento, alla tempesta, e quando avvampa
l’ora, e quando poi gela,
corre via, corre, anela
varca torrenti e stagni,
cade, risorge, e più e più s’affretta,
senza posa o ristoro,
lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
colà dove la via
e dove il tanto faticar fu volto:
abisso orrido, immenso,
ov’ei precipitando, il tutto oblia.
Vergine luna, tale
è la vita mortale…"
(G. Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv.21/38)

ALLITTERAZIONE

L’allitterazione (dal latino adlitterare, che significa "allineare le lettere") è la figura retorica (di parola) che consiste nella ripetizione di una lettera, di una sillaba o più in generale di un suono all'inizio o all'interno di parole successive (Coca Cola, Marilyn Monroe, Deanna Durbin, Mickey Mouse). Pone l’attenzione sul legame fonico che lega più parole.
Nella lirica italiana il primo a farne largo uso è stato Petrarca.

Esempi:
"…di me medesmo meco mi vergogno
e del mio vaneggiar vergogna è 'l frutto…"
(F. Petrarca, Canzoniere, I, v.11-12) allitterazione della lettera "m" e della lettera "v".

"…La madre or sol, suo dì tardo traendo,…"
(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.5) allitterazione con le lettere "s", "t" e "do".

"Fr/e/sche le mie parole ne la s/era
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso…"
(G. D’Annunzio, La sera fiesolana, vv.1-4), allitterazioni di "f", "s", dei gruppi "fr" e "sc" e la ripetizione-iterazione della "e".

"Col mare
mi sono fatto
una bara
di freschezza".
(G. Ungaretti, Universo)

"..Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera…".
(G. Pascoli, La mia sera, vv 13-16)

"E nella notte nera come il nulla…".
(G. Pascoli, Il tuono, v 1)

ANADIPLOSI/RADDOPPIAMENTO

L’anadiplosi (dal greco anadíplosis = "raddoppiamento") è la figura retorica (di parola) che consiste nella ripetizione di uno o più elementi terminali di un segmento di discorso, all’inizio del segmento successivo.

Esempi:
"…Ma passavam la selva tuttavia.
La selva, dico, di spiriti spessi…"
(Dante, Inferno, IV, vv. 65-66)

"Più volte Amor m’avea già detto: Scrivi,
scrivi quel che vedesti in lettre d’oro,…"
(F. Petrarca, Canzoniere, XCIII, vv. 1-2)

"…ma la gloria non vedo
non vedo il lauro e ’l ferro ond’eran carchi…"
(G. Leopardi, Canti, "All’Italia", vv. 4-5)

"…Amore, amore, assai lungi volasti
dal petto mio, che fu sì caldo un giorno…"
(G. Leopardi, La vita solitaria, vv. 39-40)

"C'è un fanciullo che incontro nelle mie
passeggiate, un fanciullo un poco strano…"
(U. Saba, Il fanciullo appassionato, vv. 1-2)

"…Oh il gocciolio che scende a rilento
dalle casupole buie, il tempo fatto acqua,
il lungo colloquio coi poveri morti, la cenere, il vento,
il vento che tarda, la morte, la morte che vive!…"
(E. Montale, Notizie dell’Amiata, vv. 43-46)

"Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta…".
(S. Quasimodo, Giorno dopo giorno, vv.1-3)

"…io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito…"
(G. Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno, vv. 59-60)

"…Ma non per me, non per me piango; io piango
per questa madre che, tra l’acqua spera,
per questo padre che desìa, nel fango;…"
(G. Pascoli, Il giorno dei Morti, vv. 160-162).

ANAFORA

L’anafora (dal greco anaphéro, "riporto, ripeto") è la figura retorica (di parola) che consiste nel ripetere una o più parole all’inizio di segmenti successivi di un testo (periodi, sintagmi, frasi), per sottolineare un’immagine o un concetto.

Esempi:
"…Tu fiore non retto da stelo,
tu luce non nata da fuoco,
tu simile a stella nel cielo;…"
(G. Pascoli, Il sogno della vergine, 39-41)

"Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’eterno dolore
per me si va tra la perduta gente…"
(Dante Alighieri, Divina Commedia - Inferno - Canto III, vv 1-3)

"…Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense…"
(Dante, Divina Commedia - Inferno - Canto V, vv 100-107)

"…Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione…"
(G. D’Annunzio, La pioggia nel pineto, vv.8-32)

ANALESSI

Si ha l’analessi (dal greco análêpsis, "prendere nuovamente" nel senso di fare una restrospezione o flashback = lampo all'indietro) quando nella narrazione vengono ricordati eventi passati mentre il tempo reale scorre.
L’analessi perciò è un rivolgimento della struttura della fabula cioè della sequenza logica e cronologica degli avvenimenti e può essere introdotta nel corso del racconto da demarcatori temporali del tipo "Alcuni anni fa" in opposizione a "ora", oppure da verbi come "ricordare", "pensare".

Esempi:
Nell’Iliade, il narratore, dopo aver evocato la contesa fra Achille e Agamennone, punto di partenza del suo racconto, ritorna indietro di una decina di giorni per esporne la causa in una quarantina circa di versi retrospettivi.

Un racconto quasi interamente basato sull’analessi è La cognizione del dolore di Gadda. In quest’opera infatti continuamente la narrazione si interrompe per recuperare episodi del passato.

L’Ulisse di James Joyce o Alla ricerca del tempo perduto di Proust sono altri chiari esempi di utilizzo di analessi.

ANALOGIA

L’analogia (dal greco analogía - proporzione) è l’accostamento immediato di due immagini, situazioni, oggetti tra loro lontani di somiglianza, basato su libere associazioni di pensiero o di sensazioni piuttosto che su nessi logici o sintattici codificati. Come l'ungarettiana "balaustrata di brezza". La suggestione dell'analogia è dovuta alla sua illogicità associando elementi totalmente dissimili.
Nella poesia tradizionale l’analogia era espressa mediante la similitudine, che veniva introdotta dalle particelle correlative "come…, così…( tale )". I nuovi poeti sopprimono le particelle correlative e fondono insieme nell’analogia i due concetti.
L’uso dell’analogia è molto antico e frequente e coincide in qualche misura con la metafora. L’uso frequente dell’analogia è una delle caratteristiche della poesia ermetica.

Esempi:
"…Tornano in alto ad ardere le favole…"
(Ungaretti, Stelle, v.1): tornano in cielo a splendere le stelle, belle come le illusioni (le favole) che addolciscono la vita.

"…Si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi…"
(Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.11-12): dai picchi nudi di vegetazione come una testa calva si levano i canti delle cicale che sono come tremuli scricchiolii.

"…Caprioli d'argento
scherzano nelle radure del cielo …"
(A. Bertolucci, Amore, Fuochi di novembre, vv.3-4): l'immagine dei caprioli che scherzano nelle radure viene accostata a quella del cielo e suscita l'idea di una vasta volta stellata, suggerita solo dall'espressione d'argento che fa intuire il rapporto analogico tra i caprioli e le costellazioni.

ANASTROFE

L’anastrofe (dal greco anastrophe, inversione/rovesciamento) è la figura retorica (di parola) che consiste nell’inversione dell’ordine naturale delle parole all’interno di un verso, per dare rilievo ad una parola e ottenere effetti fonici. È affine all’iperbato ma, a differenza di esso, non implica l’inserimento di un inciso tra i termini.

Esempi:
"…Sempre caro mi fu quest'ermo colle…"
(Leopardi, Infinito, v.1)

"…Allor che all’opre femminili intenta
sedevi
, assai contenta …"
(Leopardi, Canti, A Silvia, vv.10-11)

"Mi scosse, e mi corse
le vene
il ribrezzo.
Passata m’è forse
rasente
, col rezzo
dell’ombra sua nera,
la morte…"
(G. Pascoli, Il brivido, vv. 1-6)

"…Odono i monti e le valli e le selve
e i fonti e i fiumi e l’isole del mare…"
(G. D’Annunzio, L’oleandro, vv. 374-375)

"…Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;…"
(S. Quasimodo, Antico inverno, vv. 5-6)

ANTIFRASI

L’antifrasi (dal greco antí, "contro", e phrásis, "locuzione" = espressione contraria) è una figura retorica consistente nell’usare un’espressione per significare l’opposto di ciò che in realtà si vuol dire, per cui una voce viene usata in senso opposto al suo vero significato. Si ricorre a questa quando si vuole caricare di ironia un aggettivo attribuendogli il significato opposto di quello che ha solitamente.
Così ad esempio i Greci diedero superstiziosamente il nome di Eumenidi (le benevole) alle Erinni.

Esempi:
Dante la usa per rendere più evidente il suo amaro sdegno quando si rivolge a Firenze per denunciare le infelici condizioni in cui si è ridotta per le lotte intestine, frutto di un conflitto politico dissennato:
"Or ti fa lieta, ché che tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno"
(Dante, Purgatorio, VI, vv. 136-137)

ANTITESI

L’antitesi (dal greco antìthesis, "contrapposizione") è una figura retorica di pensiero che consiste nell’ottenere il rafforzamento di un concetto aggiungendo la negazione del suo contrario (Lavorava di notte, non di giorno) oppure accostando due parole o concetti opposti (temo e spero).

Esempi:
"…Non fronda verde, ma di color fosco;
non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti;
non rami v’eran, ma stecchi con tosco…"
(Dante, Inferno, XIII)

"Pace non trovo e non ho da far guerra;
e temo e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ’l cielo e giaccio in terra;
e nulla stringo e tutto ’l mondo abbraccio…"
(F. Petrarca, Canzoniere, CXXXIV, vv.1-4)

"…So che non foco, ma ghiaccio eravate,
o mie candide fedi giovanili,
sotto il cui manto vissi
come un tronco sepolto nella neve…"
(V. Cardarelli, Illusa gioventù, vv 7-10)

"…Ma come, o Vecchio, un giorno fu distrutto
il sogno della tua mente fanciulla?
E chi ti apprese la parola nulla,
e chi ti apprese la parola tutto?…"
(Guido Gozzano, L’analfabeta, vv.121-124)

ANTONOMASIA

L’antonomàsia (Dal greco antonomàsia = "diversa denominazione", composto da: anti = invece; onoma = nome) è una figura retorica (di contenuto) con la quale ad un nome si sostituisce una denominazione che lo caratterizza. Si può sostituire un nome comune, un epiteto (aggettivo) o una perifrasi ad un nome proprio o al nome di una cosa e viceversa. Alcuni esempi: "il segretario fiorentino" (Machiavelli), "il padre della lingua italiana" (Dante), "la città celeste" (il Paradiso), "il principe delle tenebre" (il diavolo), "l'eroe dei due mondi" (Garibaldi), "il sommo bene" (Dio). Per converso, talvolta l’antonomasia consiste nella sostituzione di un nome comune con uno proprio: ’un Giuda’ per ’un traditore’, ’un Ercole’ per ’una persona molto forte’.

Esempi:
"…i voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;…"
(Vangelista = San Giovanni Evangelista)
(Dante, Inferno, XIX, vv.106-108)

"…non già vertù d’erbe, o d’arte maga,
o di pietra dal mar nostro divisa,…"
(mar nostro = Mare Mediterraneo)
(Francesco Petrarca, Canzoniere, LXXV, vv.3-4)

"…atto ch’ebbe il re di Circassia
battere il volto de l’antiqua madre
traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,…"
(l’antiqua madre = la terra)
(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, II, XXXIII, vv.5-7)

"Mentre son questi a le bell’opre intenti
perché debbiano tosto in uso porse
il gran nemico de l'umane genti
contra i cristiani i lividi occhi torse…"
(il gran nemico de l'umane genti = il demonio)
(Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, IV, I, vv.1-4)

"…e l’isole
che col selvoso dorso
rompono agli Euri e al grande Ionio il corso…"
(Euri = i venti)
(Ugo Foscolo, All’amica risanata, vv.82-84)

"…E quando Furio e l’arator d’Arpino,
imperador plebeo, tornava a te,…"
(l’arator d’Arpino = Caio Mario)
(Giosuè Carducci, Agli amici della Valle Tiberina, vv.49-50)

"Come uno straccio lurido, gettata
questa terra di Fucci e di Bonturi,…"
(Fucci = ladri; Bonturi = truffatori)
(Giosuè Carducci, Heu pudor!, vv.13-14)

APOSTROFE

L’apostrofe (dal greco apostrophé, da apostréphein, tradotto in "volgere altrove") è una figura retorica per la quale chi parla interrompe d’un tratto la forma espositiva del suo discorso per rivolgersi improvvisamente e con enfasi ad una persona o cosa personificata ideale diversa da quella reale al fine di persuadere meglio quest’ultimo.
L’apostrofe rappresenta uno strumento, alla pari della exlamatio per evidenziare situazioni patetiche e manifestare sentimenti di dolore e indignazione.
Nell’oratoria classica veniva utilizzata quando l’oratore non si rivolgeva più al giudice ma direttamente all’avversario, per alzare l’interesse della causa che stava discutendo.
Nei testi letterari capita spesso che l’autore apostrofi direttamente il lettore o i personaggi della sua opera con effetto di pathos. In poesia trova ampia utilizzazione.

Esempi:
"Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!"
(Dante, Inferno, Canto XXVI)

"Ahi, dura terra, perché non t’apristi?"
(Dante, Inferno, Canto XXXIII)

"O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?"
(G. Leopardi, A Silvia)

"O Niobe, l’antico
tuo grido odo alzarsi repente
al conspetto del Mare,
e il tuo disperato dolore
chiamar le figlie e i figli
per l’inesorabile chiostra,
e stridere odo l’arco
forte e sibilare lo strale."
(G. D’Annunzio, Il Gombo, Alcyone)

CHIASMO

Il chiasmo (dal greco chiasmòs, derivato a sua volta dalla lettera dell’alfabeto greco χ - chi -, che illustra graficamente la disposizione incrociata degli elementi del chiasmo) è la figura retorica (di parola) che consiste nel disporre, in forma di incrocio, di X, gli elementi costitutivi di una frase, in modo da rompere il normale parallelismo delle parole, creando un incrocio immaginario tra due coppie di parole, in versi o in prosa, secondo il modello A, B, B1, A1.
È quindi un parallelismo capovolto in cui i due elementi del discorso concettualmente paralleli sono disposti in ordine inverso. Ecco un esempio: io solo / combatterò, procomberò sol io (Leopardi): in io solo combatterò l’ordine è soggetto-predicato, in procomberò sol io è predicato-soggetto.
La corrispondenza degli elementi disposti in ordine inverso può riguardare sia il piano grammaticale che quello semantico. Il chiasmo può essere:

  • chiasmo piccolo, quando sono posti in corrispondenza parole o sintagmi;
  • chiasmo grande, quando sono poste in corrispondenza intere frasi.

Si distinguono inoltre:

  • chiasmo semplice: quando gli elementi disposti specularmente tra di loro hanno la stessa funzione sintattica nei due membri;
  • chiasmo complicato o antimetabole: permutazione nell’ordine delle parole con capovolgimento di senso: Chi ha pane non ha denti e chi ha denti non ha fame (incrocio semantico con parallelismo sintattico e specularità delle corrispondenze di significato); Se è caldo raffreddalo e riscaldalo se è freddo (incrocio sintattico con specularità delle funzioni sintattiche e parallelismo delle corrispondenze di significato).

Esempi:
"…Viva (A) la fama (B) loro (C); e tra lor (C) gloria (B)
splenda (A) del fosco tuo l’alta memoria."
(Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, XII, 54).

"Le donne (A), i cavallier (B), l’arme (B1), gli amori (A1)…"
(Ludovico Ariosto, L’Orlando furioso, canto I) dove le donne sono legate agli amori e i cavalieri alle armi.

"…Pace (A) non trovo (B) et non ho da far (B1) guerra (A1)…"
(F. Petrarca, Canzoniere, sonetto 134)

"…Il vento (A) soffia (B) e nevica (B) la frasca (A)…"
(Giovanni Pascoli, Lavandare, v.7)

"…il pudor (A) mi fa vile (B) e prode (B1) l’ira (A1)…"
(U. Foscolo, Il proprio ritratto, Sonetti, VIIbis, v.11)

"…la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar…"
(A. Manzoni, Il cinque maggio, vv.45-48)
in cui a "vittoria" e "reggia", momenti di gloria, si contrappongono "fuga" e "tristo esiglio", a delimitare gli estremi nella vita di Napoleone, in una sorta di X.

"UNO PER TUTTI
TUTTI PER UNO"
(Alexandre Dumas, I tre moschettieri)
si può notare chiaramente la disposizione a X delle parole: basta infatti tracciare due linee, una che unisca le parole "tutti" e un’altra che unisca le parole "uno", per ottenere una X.

"…odi greggi belar, muggire armenti…"
(G. Leopardi, Il passero solitario, v.8) in questo verso di Leopardi, l’ordine parallelo "sostantivo + verbo" è stato rotto per costruire uno schema incrociato "sostantivo + verbo/verbo + sostantivo".

"…né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor…"
(G. Carducci, Pianto antico, vv.15-16);
il chiasmo si ha tra la parte nominale delle due proposizioni parallele (sol, amor) e la parte verbale (rallegra, risveglia).

"…Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride…"
(E. Montale, Cigola la carrucola del pozzo, vv.3-4);
il chiasmo riguarda la disposizione degli elementi sintattici: verbo (trema/ride) - soggetto (un ricordo/un’immagine) - complemento (nel ricolmo secchio/nel puro cerchio).

"…con tonfi spessi e lunghe cantilene…"
(G. Pascoli, Lavandare, v.6);
in questo caso invece la relazione si instaura da una parte tra i due sostantivi, e dall’altra tra i due aggettivi: tonfi/cantilene; spessi/lunghe.

CLIMAX

La climax (dal greco klímax, "scala"), detta anche gradazione (gradatio) è una figura retorica (di parola) che consiste nell’accostamento di termini o locuzioni semanticamente affini per perseguire l’effetto di un’intensità espressiva crescente. Se l’intensità è decrescente si parla di anticlimax o climax discendente o gradazione discendente.
Un simile procedimento risulta particolarmente efficace soprattutto in poesia, dove l’intensificazione del concetto attraverso la progressione naturale dal vocabolo più debole al più forte è incrementata in modo significativo dai valori fonici e ritmici delle parole.

Esempi:
"…Quivi sospiri, pianti ed alti guai
risonavan per l’aere sanza stelle,
per ch’io al cominciar ne lagrimai…"
(Dante, Inferno, III, vv.22-23)
I 3 termini: sospiri, pianti e alti guai (lamenti), sono graduati per intensità crescente.

"…Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle …"
(Dante, Inferno, III, vv.25-27)
I suoni sono graduati per intensità discendente, da intensi ed articolati diventano via via meno precisi.

"…la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto…"
(G. Pascoli,Il lampo, vv.2-3)
Gli aggettivi riferiti prima al cielo e poi alla terra sono graduati per intensità crescente, sottolineando il passaggio ad una condizione sempre più disperata.

"…O mia stella, o fortuna, o fato, o morte,
o per me sempre dolce giorno e crudo,
come m’avete in basso stato messo."
(F. Petrarca, Canzoniere, CCXCVIII, vv.12-14)

"…Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio
e il naufragar m’è dolce in questo mare."
(G. Leopardi, Infinito,vv.13-15)
In questo caso si attua una gradazione in senso discendente (Anticlimax) attraverso immensità-s’annega-naufragar, che anche ritmicamente riproducono un progressivo abbandono della mente.

"Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!"
(G. Pascoli, La mia sera, vv.33-35)

"…Fermava il volo sopra la sua tomba,
tremulo; appiè, gli accordi avea del mare
che sciacqua, stride, squilla, urla, rimbomba…"
(G. Pascoli, Poemi Italici, Rossini, Canto II)

ELLISSI

L’ellissi (dal greco élleipsis ;"omissione/mancanza;") è una figura retorica (di parola) che consiste nell’omettere, all’interno di una frase, uno o più termini che sia possibile sottintendere, per conseguire un particolare effetto di concisione e icasticità o effetti di attesa e di tensione.
È molto usata nella narrativa ma anche nella poesia ove riguarda soprattutto il verbo.
In narratologia indica l’omissione di qualche segmento della storia narrata: Dante, nel III canto dell’Inferno, non racconta come abbia superato l’Acheronte.

Esempi:
"…Ai posteri l’ardua sentenza…"
(A. Manzoni, Il cinque maggio, vv.31-32) Manzoni omette il verbo ’toccherà’.

"…Gemmea l'aria, il sole così chiaro,…"
(G. Pascoli, Novembre, v.1) Pascoli omette il verbo ’è’. Il verso appare così molto più rapido ed essenziale e l'immagine acquista maggiore rilievo.

"…Rivedo i luoghi dove un giorno ho pianto:
un sorriso mi sembra ora quel pianto.
Rivedo i luoghi, dove ho già sorriso…
Oh! come lacrimoso quel sorriso!…"
(G. Pascoli, Pensieri, Il passato, Myricae) nell’ultimo verso vi è l’ellissi del verbo che è sottinteso ma facilmente intuibile.

ENDIADI

L'endiadi (letteralmente dal greco hen dia dyoin "una parola in due") è una figura retorica che consiste nell'utilizzo di due o più parole per esprimere un unico concetto. E’ detta anche dittologia sinonimica (uso di 2 sinonimi). Nel linguaggio comune si usa per esempio nelle seguenti espressioni: far fuoco e fiamme; te lo dico chiaro e tondo; è un affare bell’e e buono; camminare nella strada e nella polvere (anziché nella strada polverosa).
Esempi:
"…e de li altri poeti onore e lume…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto I, v.82)

"…natura sì malvagia e ria…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto I, v.97)

"…allor con li occhi vergognosi e bassi…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III,  v. 79)

"…Movesi 'l vecchierel canuto e bianco…"
(Petrarca, Canzoniere, Rerum Vulgarium Fragmenta, XVI, v.1)

"…Amaro e noia
la vita, altro mai nulla…"
(Giacomo Leopardi, A se stesso, vv.9/10)

"…Salve, o città forte di vallo e fosso…"
(G. Pascoli, Poemi del risorgimento, Inno a Torino, VI)

ENFASI

L’enfasi (dal greco èmphasis, da empháino, "esibisco, mostro") è una figura retorica di tipo sintattico che consiste nel mettere in particolare rilievo un termine o una frase, in modo da sottolinearne il significato e le implicazioni, lasciando intuire più di quanto non venga esplicitamente detto. Nella frase Lui sì che è un amico l’enfasi mette in evidenza le implicazioni della parola amico, nella frase il sangue non è acqua si sottolinea l’importanza dei legami di sangue. Carlo mi piace: è un uomo!: è sottinteso che si tratta di un uomo coraggioso.
Nel linguaggio parlato l’enfasi si accompagna a un aumento di intensità della voce e dei gesti.

Esempi:
"…Vissi e regnai; non vivo più nè regno,…"
(T. Tasso, Gerusalemme liberata, Canto XIX, v.318) l’enfasi consiste nel rendere più intensi i concetti di vivere e regnare.

"…Sì, se l’arroganza dei vostri pari fosse legge per i pari miei…"
(Manzoni, I promessi sposi, Cap. IV) l’enfasi consiste nella particolare carica che l’espressione assume.

ENUMERAZIONE

L’enumerazione (dal latino enumerāre, «enumerare, contare») è l’elencazione di parole unite per asindeto (cioè senza congiunzioni come e, ma, o, ecc.), o per polisindeto (con due o più congiunzioni ripetute fra termini o frasi: e … e; o … o).

Esempi:
Enumerazione per asindeto:
"…S’aprirà quella strada,
le pietre canteranno,
il cuore batterà sussultando,
come l’acqua nelle fontane.
…"
(C. Pavese, Passerò per Piazza di Spagna, vv.12-15)

Enumerazione per polisindeto:
"…Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno,
e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto,
e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto
de’ due begli occhi che legato m’hanno.…"
(F. Petrarca, Benedetto sia ’l giorno, Canzoniere, vv.2-4)

EUFEMISMO

L’Eufemismo (dal verbo greco euphemèo, "risuonare bene") è una figura retorica (di pensiero) che consiste nell’uso di una parola o di una perifrasi al fine di attenuare un’espressione ritenuta o troppo banale, o troppo offensiva, oscena, inopportuna o troppo cruda.
Ad esempio:"questo piatto lascia a desiderare" per non dire che è ripugnante, o la convenzione di usare il verbo "andarsene" per "morire".
Il suo opposto è il disfemismo, in cui si usa volutamente, ma in senso scherzoso o affettuoso, una parola sgradevole o volgare al posto di una normale o positiva.

Esempi:
"…Quando rispuosi, cominciai: - Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo! - …" (l’adulterio e quindi la perdizione eterna)
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto V, vv.112-114)

"…i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra,
et compie’ mia giornata inanzi sera…" (morii prematuramente)
(F. Petrarca, Levommi il mio penser in parte ov’era, vv.7-8)

IPALLAGE

L’ipàllage (dal greco hypallage, "sostituzione/scambio ", derivato da hypallásso, "cambio") è una figura retorica (di parola) che consiste nel riferire grammaticalmente una parte della frase a una parte diversa da quella a cui dovrebbe riferirsi semanticamente, cioè consiste nell’attribuire a un termine di una frase qualcosa (qualificazione, determinazione o specificazione) che logicamente spetterebbe a un termine vicino.
In genere la parte del discorso su cui avviene lo spostamento è l’aggettivo, che viene attribuito a un sostantivo diverso da quello a cui il suo significato lo dovrebbe normalmente e logicamente legare: in questo caso si parla anche di enallage dell’aggettivo (dal greco enallaghé, "scambio interno" figura retorica con cui l’ipallage spesso coincide). Ad esempio come avviene nel verso "il divino del pian silenzio verde" (da Il bove di G. Carducci), invece di "il divino silenzio del verde piano"; "verde" è riferito a "silenzio" e non a "pian", come dovrebbe.

Esempi:
"…Altae moenia Romae…" ("le mura dell’alta Roma", invece di "le alte mura di Roma")
(Virgilio, Eneide, I, v.7)

"…gemina teguntur
lumina nocte…"
("gli occhi sono coperti da una doppia notte" al posto di "entrambi gli occhi sono coperti dalla notte")
(Catullo, Carme 51, vv.11-12)

"…sorgon così tue dive
membra dall’egro talamo…"
(dove "egro" (malato) dovrebbe logicamente riferirsi a membra e non a talamo)
(Ugo Foscolo, All'amica risanata, vv.7-8)

"…un ribatte
le porche con la sua marra paziente…"
(l’aggettivo paziente è riferito all’arnese marra ma logicamente va riferito a un essere umano cioè al contadino che usa la marra e che è paziente)
(G. Pascoli, Arano, vv.5-6).

"…ma io deluse a voi le palme tendo…"
(l’aggettivo deluse è sintatticamente complemento predicativo dell’oggetto palme, ma logicamente andrebbe riferito al soggetto io)
(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.7)

"…di foglie un cader fragile…"
(l’aggettivo fragile è riferito al verbo anzichè al sostantivo foglie)
(G. Pascoli, Novembre, v.11)

IPERBOLE

L’iperbole (dal greco, hyperbolé, "scaglio oltre, sollevo") è una figura retorica (di contenuto) che consiste nell’esagerare, per eccesso o per difetto, un concetto sino all’inverosimile. Un esempio calzante può essere "la settimana é trascorsa in un attimo", oppure "hai impiegato un secolo ad arrivare!", "È un secolo che non lo vedo"; "Scendo tra un minuto"; "Sono in un mare di guai"; "Mi piace da morire"; "Non ha un briciolo di cervello". Dalla storia, il detto proverbiale di Carlo V: "Sui miei dominii non tramonta mai il sole".

Esempi:
"…O frati, - dissi, - che per cento milia
perigli
siete giunti all’occidente;
a questa tanto picciola vigilia
de’ nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
diretro al sol, del mondo sanza gente…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI, vv.112-117)

"…Va l’Asia tutta e va l’Europa in guerra…"
(T. Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, st. 32, v.2)

"…Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)
di quel sangue ogni stilla un mar di pianto…"
(T. Tasso, Gerusalemme liberata, XII, vv.467-468)

"…Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi
, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo;…"
(G. Leopardi, L’infinito, vv.4-7)

"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino…"
(E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio..., Xenia I, vv.1-2)

"…Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!…"
(S. Quasimodo, Ora che sale il giorno, vv.10-12)

"…giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe andato in terra…"
(A. Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 12)

IPERBATO

L’iperbato (dal greco hypér, "sopra", e báino, "sposto" = "passo oltre") è una figura retorica (di parola), affine all’anastrofe, che rappresenta un’inversione nell’ordine naturale delle parole all’interno di una frase. L’iperbato si realizza inserendo uno o più termini tra parole che sintatticamente andrebbero unite e producendo un andamento irregolare della frase rispetto all’ordine previsto. Simile all’iperbato è anche l’epifrasi, che consiste nello spostare un gruppo di parole al termine di un enunciato per definirne meglio il significato.
Esempi:
"…...questa
bella d'erbe famiglia e d'animali…"
(U. Foscolo, I Sepolcri, vv.4/5) - in base all'ordine consueto delle parole dovrebbe essere: "questa bella famiglia d'erbe e d'animali"

"…...mille di fior al ciel mandano incensi…"
(U. Foscolo, I Sepolcri, v.172) - in base all'ordine consueto delle parole dovrebbe essere: "mandano al ciel mille incensi di fior"

"…Sparsa è d’arme la terra…"
(T. Tasso, Gerusalemme liberata, VI, st. 48)

"…ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;…"
(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, vv.87-90)

"…e tu gli ornavi del tuo riso i canti
che il lombardo pungean Sardanapalo…"
(U. Foscolo, I Sepolcri, vv.57-58)

"…e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce…"
(U. Foscolo, I Sepolcri, vv.122-123),

"…a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura."
(U. Foscolo, A Zacinto, vv.13-14)

"…il divino del pian silenzio verde…"
(G. Carducci, Il bove, v.14) c'è un doppio iperbato: "del pian" viene interposto tra divino e silenzio; "silenzio" tra pian e verde.

LITOTE

Litote (dal greco antico litótēs, "semplicità") è una figura retorica che consiste nell'affermare un concetto attraverso la negazione del suo contrario. Produce l'effetto contrario dell'iperbole:
Esempi:
"…...Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuor di leone …"
(A. Manzoni, I promessi sposi)

"…onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali,…"
(U. Foscolo, A Zacinto, vv.6-9)

"…molte volte Novembre è ritornato
nella mia vita, e questo che oggi ha inizio
non è il peggiore,…"
(M. Guidacci, Molte volte novembre è ritornato, vv.1-3)

METAFORA

La metafora (dal greco metaphéro, "io trasporto", composto da metà = "oltre, al di là" e phéro = "porto") è una figura retorica (di contenuto) consistente nella sostituzione di un termine proprio con uno figurato, in seguito ad una trasposizione simbolica di immagini. Così, dicendo: "Tizio è un coniglio", intendiamo dire che è pavido come un coniglio. Dicendo: "L’infanzia è l’alba della vita", intendiamo dire che è l’inizio della vita, come l’alba lo è del giorno.
Differisce dalla similitudine per l’assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali ("come").
Oltre che con la metafora, uno spostamento di significato si attua anche con la metonimia e la sinèddoche.
Le metafore possono essere costruite in vari modi:

  • con un sostantivo ("una montagna di compiti"; "una salute di ferro");
  • con un aggettivo ("gli anni verdi"=della giovinezza; "una bellezza sfiorita");
  • con un verbo ("il pavimento della stanza balla"; "i pensieri volano");
  • con un predicato nominale ("quella ragazza è una perla"; oppure: "sei proprio una ZUCCA!").

Con la metafora il poeta riesce a nutrire la sua poesia di allusioni e la contorna di significati emblematici che noi dobbiamo sapere interpretare.

Esempi:
"…Io non piangea, sì dentro impetrai…"
(Dante, Inferno, XXXIII, v.49)
Questa frase è pronunciata dal conte Ugolino il quale con questa espressione vuole intendere che a causa di un dolore fortissimo il suo animo non provava alcuna emozione, era diventato - cioè - "duro come una pietra".

"…ch’amor conduce a piè del duro lauro
ch’à i rami di diamante e d’or le chiome…"
(F.Petrarca, Canzoniere, XXX, vv.22-23);
Petrarca allude a Laura riferendo di una pianta di alloro con rami di diamante e chioma dorata ai piedi della quale Amore conduce chi è colpito dai suoi dardi.

"…e prego anch’io nel tuo porto quiete…"
(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.11) porto=morte

"…Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
in così verde etate! Ahi, per la via…"
(G. Leopardi, La sera del dì di festa, vv.23-24) verde etate=gioventù

"…tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull’altar…"
(A. Manzoni, Il Cinque Maggio, vv.43-48) nella polvere=in disgrazia; sull’altar=in trionfo

"…Tu fior de la mia pianta
percossa e inaridita,
tu de l’inutil vita
estremo unico fior,…"
(G. Carducci, Pianto antico, vv.9-12) fior=figlio; pianta=padre

"…Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo…"
(G. Pascoli, La mia sera, vv.9 -10) aprire=sbocciare come i fiori

"…Anche un uomo tornava al suo nido…"
(G. Pascoli, X Agosto, v.13) nido=casa

"Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo di strade…"
(G. Ungaretti, Natale, vv.1-4) gomitolo di strade=moltissime vie che si intersecano

"Alle sponde odo l’acqua colomba,
Anapo mio; nella memoria geme
al suo cordoglio
uno stormire altissimo…"
(Salvatore Quasimodo, L’Anapo, vv.1-4) l’acqua colomba=l’acqua mormora come una colomba che tuba

"Piove senza rumore sul prato del mare…"
(C. Pavese, Tolleranza, v.1) prato del mare=la superficie del mare è liscia e verde scuro come un prato erboso.

METONIMIA

La metonimia (dal greco metá "trasferimento" e ónoma" nome" = "scambio di nome") è una figura retorica (di contenuto) che consiste, nell’espressione di un concetto per mezzo di una parola diversa da quella propria, ma ad essa legata da una relazione di contiguità o di interdipendenza logica o materiale. Si distingue dalla metafora (che è più libera e tiene conto di somiglianze anche vaghe), perché, nella metonimia, la parola sostituente appartiene allo stesso campo semantico della sostituita o le due parole hanno un rapporto di causa/effetto o un legame di reciproca dipendenza (contenente/contenuto, occupante/luogo occupato, proprietario/proprietà materiale o morale, ecc.).
La metonimia arricchisce il senso delle parole proprio perché instaura collegamenti con ciò che non è enunciato e che risulta evidente attraverso la metonimia. La metonimia può essere realizzata anche sostituendo una parola con più parole di uno stesso campo semantico:droga = polvere bianca; petrolio = oro nero.
Quando la connessione tra le due parole è di tipo quantitativo, ad esempio la parte per il tutto, la metonimia prende il nome di sineddoche.

Esempi:
Si hanno vari casi di sostituzioni metonimiche, tra le più frequenti il principio di relazione può essere in base a:

  • causa/effetto:
    • ascolto Mozart = la musica di Mozart;
    • ho comprato un Raffaello = un quadro di raffaello.
    • ha una bella mano = una bella scrittura;
    • sentire le campane = i rintocchi delle campane;
    • avere le guance rigate di pianto = di lacrime;
    • "…s’accendon le finestre (le finestre sono illuminate) ad una ad una come tanti teatri…" (V. Cardarelli, Sera di Liguria, 5-6);
  • effetto/causa:
    • guadagnare da vivere con il sudore della fronte = con un lavoro pesante, che fa sudare;
    • questa vita è una valle di lacrime = un luogo di sofferenza;
    • "…assursero in fretta dai blandi riposi, chiamati repente da squillo (tromba) guerrier…" (A. Manzoni, Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti, Adelchi, 35-36);
    • "…Talor lasciando le sudate carte…" (tralascia gli studi [carte] che costano fatica, sudore [sudate]; il sudore costituisce l'effetto) (G. Leopardi, A Silvia, v.16);
  • materia/oggetto:
    • possedere molti ori = monili d’oro;
    • lucidare gli ottoni = gli oggetti di ottone;
    • "…mentre Rinaldo così parla, fende con tanta fretta il suttil legno (barca) l’onde…" (L. Ariosto, Orlando furioso, Canto XLIII, LXIII);
  • contenente/contenuto:
    • bere un bicchiere = il contenuto del bicchiere;
    • ho mangiato un piatto squisito = il cibo contenuto nel piatto;
    • "…ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini (dal mosto che bolle nei tini) l’anime a rallegrar…" (G. Carducci, San Martino, vv. 5-8);
  • astratto/concreto:
    • confidare nell’amicizia = negli amici;
    • la giovinezza è spensierata = i giovani;
    • le prepotenze della nobiltà = dei nobili;
    • "…Tutta vestita a festa la gioventù (i giovani) del loco lascia le case, e per le vie si spande…" (G. Leopardi, Il passero solitario, vv. 32-34);
  • concreto/astratto:
    • avere del fegato = del coraggio;
    • è un uomo di buon cuore = di buoni sentimenti;
    • "…porgea gli orecchi al suon della tua voce, ed alla man veloce che percorrea la faticosa tela (faticoso lavoro)…" (G. Leopardi, A Silvia, vv. 20-22);
  • simbolo/cosa simbolizzata:
    • "…e intanto vola il caro tempo giovanil; più caro che la fama e l’allor (gloria poetica),…" (G. Leopardi, Le ricordanze, vv. 43-45);
  • strumento/persona:
    • è il primo flauto dell’orchestra = musicista che suona il flauto;
    • "…Lingua mortal (un uomo) non dice quel ch’io sentiva in seno…" (G. Leopardi, A Silvia, vv. 26-27).

ONOMATOPEA

L’onomatopea (dal greco ónoma, "nome" e poiéin, "fare" = "formazione di parole") è una figura retorica (di parola) che consiste nel riprodurre suoni naturali attraverso espressioni verbali che acusticamente suggeriscono i suoni stessi.
Si usa distinguere le onomatopee primarie, o vere e proprie, che sono per l’appunto parole che hanno l’unica capacità di evocare l’impressione di un suono e non portatrici di un proprio significato; sono così onomatopee del genere quelle imitano il verso di un animale, come bau o miao, oppure particolari suoni umani come brr o ecciù, ma anche rumori tipici di oggetti o di azioni, come il perepepé o il bum della deflagrazione.
Derivano poi solitamente da queste, o indirettamente attraverso un processo onomatopeico, le onomatopee secondarie, o artificiali, che sono invece parole (aggettivi, sostantivi, verbi ecc.) che riproducono acusticamente il suono corrispondente all'oggetto, come possono essere il verbi che indicano appunto il verseggiare di un animale: miagolare, abbaiare. ecc. Il nostro lessico contiene numerosi vocaboli onomatopeici (miagolare, tintinnare, ticchettio, fruscio, sciacquio, rimbombare, ululare, mormorio, dondolio, ululato, boato, tuono, ecc.).
In poesia anche il ritmo può concorrere al processo espressivo dell’onomatopea: il verso "volaron sul ponte che cupo sonò", di Alessandro Manzoni, ottiene l’imitazione del rimbombo delle assi del ponte levatoio sotto gli zoccoli dei cavalli con il ritmo e il gioco fonetico delle parole impiegate.

Esempi:
"…il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo…"
(G. Pascoli, Tuono, vv.3-4)
Pascoli riproduce suggestivamente il rumore del tuono inserendo all’interno delle parole suoni che richiamano il suo significato.

"…Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle…"
(G.Pascoli, La mia sera, vv. 3-4).

"…Un’ape tardiva sussurra…"
(G.Pascoli, Il gelsomino notturno, v. 13)

"…ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi…"
(E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv. 3-4)

"Le vele le vele le vele
che schioccano e frustano al vento…"
(D. Campana, Barche amarrate, vv. 1-2)

"…Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,…"
(G. D’Annunzio, Alcyone, L’onda, vv. 63-65)

"Clof, clop, clock,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;…"
(A. Palazzeschi, La Fontana malata, vv.1-10)

OSSIMORO

L’ossimoro (dal greco oxýmoron, oksys "acuto" e morós "ottuso, sciocco") è una figura retorica (di pensiero) che consiste nell’accostare due termini che esprimono concetti contrari e che si contraddicono producendo un effetto paradossale. L’etimologia corrisponde al francese idiot savant. A differenza della figura retorica dell’antitesi, i due termini sono spesso incompatibili.
Si tratta di una combinazione tale da creare un originale contrasto, ottenendo spesso sorprendenti effetti stilistici. Esempi: lucida follia, brivido caldo, silenzio assordante, disgustoso piacere, attimo infinito, buio accecante.

Esempi:
"…O viva morte, o dilettoso male,
come puoi tanto in me, s’io nol consento?…"
(F. Petrarca, S’amor non è, Canzoniere, vv.7-8)

"…E ’l naufragar m’è dolce in questo mare."
(G. Leopardi, L’Infinito, v.15)

"…tal che mi fece, or quand’egli arde ’l cielo,
tutto tremar d’un amoroso gielo."
(F. Petrarca, Non al suo amante più Diana piacque, Canzoniere, vv. 7-8)

"…un reo buon uomo…"
(A.Manzoni, I Promessi Sposi, cap. 15);

"…Figure di Neumi elle sono
in questa concordia discorde…"
(G. D’Annunzio, Undulna, vv. 41-42)

"Cessate d’uccidere i morti…"
(G. Ungaretti, Non gridate più, v. 1)

"…gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve…"
(S. Quasimodo, Lettera alla madre, v.3)

"bianca bianca nel tacito tumulto…"
(G. Pascoli, Il lampo, v.4)

"Un piccolo infinito scampando…"
(G. Pascoli, Festa lontana, Myricae v.1)

PARONOMASIA

La Paronomasia (dal greco pará, "vicino", e onomasía, "denominazione") é una figura retorica (di parola) che consiste nell'accostare due o piú parole di suono simile (differendo per una o due lettere) ma significato diverso usate con l'intento di ottenere particolari effetti fonici e, insieme, rafforzarne la correlazione.
È il procedimento base dei giochi di parole e degli scioglilingua: "Chi non risica non rosica", "Chi dice donna dice danno", "Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa", "il troppo stroppia".

Esempi:
"…perchè fuor negletti
li nostri voti, e voti in alcun canto…"
(Dante, Paradiso, canto III, vv.56/57) - il primo voti significa voti religiosi, il secondo significa vuoti, manchevoli.

"…ch’i’ fui per ritornar piú volte volto…"
(Dante, Inferno, canto I, v.36)

"Pace non trovo e non ho da far guerra
e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio;
e volo sopra ’l cielo, e giaccio in terra;
e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio…"
(F. Petrarca, Pace non trovo e non ho da far guerra, Canzoniere, vv.1-4)

"…Tu, placido e pallido ulivo,
non dare a noi nulla;…"
(G. Pascoli, La canzone dell’ulivo, vv. 60-61)

"…Ascoltare fra i pruni e gli sterpi
Schiocchi di merli, frusci di serpi…"
(E. Montale, Meriggiare pallido e assorto, vv.3-4)

"…Trema un ricordo nel ricolmo secchio…"
(E. Montale, Cigola la carrucola nel pozzo, v.3)

"…Scrisse musiche inedite, inaudite,
oggi sepolte in un baule o andate
al macero…"
(E. Montale, Xenia I, 13, vv.4-6)

PROSOPOPEA/PERSONIFICAZIONE

La prosopopea, (dal greco prósopon, "volto" e poiéin, "fare"), o personificazione, è una figura retorica (di contenuto) che consiste nell’attribuire qualità, azioni o sentimenti umani ad animali, oggetti, o concetti astratti. Spesso questi parlano come se fossero persone. È una prosopopea anche il discorso di un defunto.
La poesia ha sempre fatto un largo uso di una simile tecnica espressiva.
Ad es. in Leopardi, che si rivolge così alla luna: "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa luna?". La tendenza alla personificazione, spesso inconscia, è rintracciabile anche nel linguaggio comune. Ad es.: "Quest'inverno il sole non ha proprio voglia di farsi vedere".
Più precisamente si può affermare che se la personificazione "parla" diventa allora Prosopopea. Se lo scrittore si rivolge alla personificazione fa un’Apostrofe:
Personificazione: "…D’Achille i cavalli intanto, veduto il loro auriga dalla lancia di Ettore nella polvere abbattuto, lontano dalla battaglia erano là piangenti…"( Omero, Iliade, Libro XVII, 540-543).
Prosopopea: "…Vieni a veder la tua Roma che piagne vedova e sola… Cesare mio, perchè non m’accompagne?…"(Dante, Purgatorio, Canto VI).
Apostrofe: "…bei cipressetti, cipressetti miei fedeli amici d’un tempo migliore…"
(Carducci, Davanti San Guido, vv.17-18, si rivolge ai cipressi).

Esempi:
"…e da le aurate volte
a lei impietosita eco rispose…"
(G. Parini, Il giorno, Il mezzogiorno, vv.528-529)

"…Oh quei fanali come s’inseguono
accidiosi
là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su ’l fango!…"
(G. Carducci, Alla stazione in una mattina d’autunno, vv.3-4)

"…Intesi allora che i cipressi e il sole
una gentil pietade avean di me
,
e presto il mormorio si fe’ parole:
- Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’…"
(G. Carducci, Davanti San Guido, vv.33-36).

"…Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo…"
(G. Pascoli, La mia sera, vv.11-12)

"…Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia…"
(G. Pascoli, Il gelsomino notturno, vv.5-6)

"…Mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera…"
(G. Pascoli, Fides, vv.7-8)

"…È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata
;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,

un poco
si tace

di nuovo
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai

il cuore
mi preme…"
(A. Palazzeschi, La fontana malata, vv.6-25)

"… Vanno a sera a dormire dietro i monti
le nuvolette stanche…"
(U. Saba, Favoletta, vv.6-7)

"… I monti a cupo sonno
supini giacciono affranti
…"
(S. Quasimodo, Apòllion, vv.1-2)

SIMILITUDINE

La similitudine (dal latino similitudo, "somiglianza") è la figura retorica (di contenuto) in cui si paragonano persone, animali, cose, sentimenti, immagini, situazioni per associazione di idee; è introdotta da come, sembra, pare, è simile, somiglia, ecc…
Ad esempio: "bianca come la neve; rosso come il fuoco".
È, sul piano letterario, la più importante delle due forme di Paragone; l’altra è la Comparazione.
Si ha "similitudine" (non "comparazione") quando i termini del confronto non sono intercambiabili, perché la loro intercambiabilità altererebbe almeno il senso del paragone: Questo rimorso pesa come un macigno è ben diverso da Questo macigno pesa come un rimorso.
Si ha, invece, "comparazione" quando il paragone fra due entità è reversibile senza alterazioni di senso: Quel pioppo è alto come la mia casa è molto simile a La mia casa è alta come quel pioppo.
Differisce dalla metafora per la presenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, sembra,pare, è simile, somiglia, ecc.) e per le conseguenze nella struttura della frase che questo comporta.

Esempi:
"…Nella destra scotea la spaventosa
peliaca trave; come viva fiamma,
o come disco di nascente Sole
balenava il suo scudo…"
(Omero, Iliade, Libro XXII, vv.171-174)

"…Gli venne dunque incontro
con la nutrice che aveva in braccio il bambino,
il figlio amato di Ettore, simile a chiara stella…"
(Omero, Iliade, Libro VI, vv.343-345)

"…Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III, vv.112-117)

"…e caddi come l’uom cui sonno piglia…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto III, v.136)

"…e caddi come corpo morto cade…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto V, v.142)

"…Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa
Scorrea la vista a scernere prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese.…"
(Manzoni, Il cinque maggio, vv.51-68)

"…Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre, tornano mortificati verso il padrone, co’ musi bassi, e con le code ciondoloni, così, in quella scompigliata notte, tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo.…"
(Manzoni, I promessi sposi, Cap.XI))

"…quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese…"
(Pascoli, Lavandare, Myricae, vv.7-8)

"Fresche le mie parole ne la sera ti sien
Come il fruscio che fan le foglie
del gelso…"
(D'Annunzio, La sera fiesolana, vv.1-3)

"…Un tappeto di smeraldo
sotto al cielo il monte par…"
(Carducci, In Carnia, vv.3-4))

"…Se sia bella, non so. Tra le donne è ben giovane:
mi sorprende, a pensarla, un ricordo remoto
dell’infanzia vissuta tra queste colline,
tanto è giovane. È come il mattino. Mi accenna negli occhi
tutti i cieli lontani di quei mattini remoti…"
(C. Pavese, Incontro, vv. 14-18)

SINEDDOCHE

La sinèddoche (dal greco syn, "insieme" e dékhomai, "ricevo" = ricevere insieme) è una figura retorica (di contenuto), che consiste nell’uso in senso figurato di una parola al posto di un’altra. È affine alla metonimia, dalla quale si distingue perché il rapporto fra il termine impiegato e quello sostituito non è di tipo qualitativo (logico) ma quantitativo.
Si ha dunque sinèddoche quando si usa:

  • il tutto per la parte: l’Europa (i paesi dell'Unione) ha deliberato; Italia batte Germania 2-0 (intendendo le rispettive squadre nazionali di calcio), scarpe di vitello (intendendo le scarpe in pelle di vitello);
  • la parte per il tutto: son rimasti senza tetto (senza casa), bocche (persone) da sfamare;
  • di una qualità/caratteristica per il tutto: il ferro (spada);
  • del singolare per il plurale e viceversa: l’Italiano (inteso come persona) all’estero (gli Italiani all’estero), la servitù (per un solo domestico);
  • del genere per la specie e viceversa: felino (gatto), mortali (uomini), pini (conifere), pane (cibo).

Esempi:
"…E se da lunge i miei tetti saluto…"
(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni, v.8) - tetti sta per case: la parte per il tutto.

"…le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue…"
(E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio.., Xenia I, vv.11/12) - pupille sta per occhi: il particolare per il generale.

"…O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aer perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno…"
(Dante, Inferno, Canto V, vv. 88-90)

"…Era un girare, un rimescolarsi di gran cappe, d’alte penne, di durlindane pendenti, un moversi librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate zimarre…"
(Manzoni, I promessi sposi, Cap.IV)

"…E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,…"
(U. Foscolo, Alla sera, vv. 3-4)

"…Magnanimo animale
Non credo io già, ma stolto…"
(G.Leopardi, La Ginestra, vv. 98-99).

"…Quando vi mettete a fare tutti quei figliuoli non ci pensate che sono tante bocche che
mangiano?…"
(G.Verga, Novelle rusticane, Il reverendo)

"…E quando la fatal prora d’Enea
per tanto mar la foce tua cercò,…"
(G. Carducci, Agli amici della Valle Tiberina, vv. 45-46)

"…Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia…"
(G. Pascoli, Il gelsomino notturno, vv. 7-8)

SINESTESIA

La sinestesia (dal greco syn, "insieme" e aisthesis "sensazione": "sensazione simultanea") è la figura retorica (di contenuto) che consiste nell’accostamento di sensazioni diverse avvertite simultaneamente.
È un tipo particolare di metafora che prevede la creazione di un’immagine associando termini che appartengono a sfere sensoriali diverse. Essa ricorre anche nella lingua parlata di tutti i giorni (esempio "Giallo squillante"). Ha largo uso in poesia.
Il suo uso risale alla poesia antica e fu prediletta dai poeti simbolisti di fine ’800, che ne fecero un largo uso, ma in particolare costituisce uno stilema tipico dell’area ermetica della poesia italiana del Novecento.

Esempi:
"…a poco a poco
mi ripigneva là dove ’l sol tace…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto I, vv.59-60) (sensazione visiva + sensazione uditiva)

"…io venni al luogo d’ogni luce muto…"
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto V, v.28) (sensazione visiva + sensazione uditiva)

"…Non vi ster molto, ch’un lamento amaro
l’orecchie d’ogni parte lor feriva;…"
(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, XXIII, XLIV, 5-6) (sensazione uditiva + sensazione gustativa)

"…al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?…"
(S. Quasimodo, Alle fronde dei salici, vv.4-7) (sensazione uditiva + sensazione visiva: la parola "urlo", simbolo di dolore e appartenente alla sfera sensoriale dell'udito, è accostata alla parola "nero", sensazione visiva, simbolo di lutto)

"…Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde."
(G. Carducci, Il bove, vv.13-14) (sensazione uditiva + sensazione visiva)

"…Ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar…"
(G. Carducci, San Martino, vv.5-8) (sensazione gustativa + sensazione olfattiva)

"…Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra…"
(G. Pascoli, La mia sera, vv.35-36) (sensazione uditiva + sensazione visiva)

"…Dai calici aperti si esala
l’odore di fragole rosse…"
(G. Pascoli, Il gelsomino, vv.9-10) (sensazione olfattiva + sensazione visiva)

"…Sepolto nella bruma il mare odora…"
(V. Cardarelli, Sera di Liguria, v.7) (sensazione visiva + sensazione olfattiva)

"…Per la fresca finestra
scorre amaro un sentore di foglie…"
(C. Pavese, Ulisse, vv. 14-15) (sensazione gustativa + sensazione uditiva)

ZEUGMA

Lo zeugma (dal greco antico = aggiogamento e quindi «legame, unione») è una figura retorica che prevede l’aggregazione ad un unico elemento, più frequentemente un verbo, di due o più complementi distinti della frase che invece richiederebbero ognuno di essere collegati ad un proprio elemento.
In particolare si tratta di quei casi in cui l’elemento a cui sono ricondotti non si adatta perfettamente a ciascun elemento della frase ma si adatta ad uno solo di essi determinando un’incoerenza semantica o sintattica.
Nel linguaggio comune si ricorre molto spesso a questa figura retorica come quando si afferma, creando un'incoerenza sintattica: "Io andai a Milano, mio cugino Palermo", in cui la prima persona si adatta al primo soggetto ma non al secondo che richiederebbe la terza persona singolare.

Esempi:
"..Parlare e lagrimar vedrai insieme.."
(Dante, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIII, v.9) in cui vedrai si adatta a lagrimar ma non a parlare, che casomai richiede udrai.

"..Fuori sgorgando lagrime e sospiri.."
(Dante, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXXI, v.20) in cui sgorgando si adatta a lagrime ma non a sospiri.