ALL’ AMICA RISANATA
Ugo Foscolo

TESTO
  1. Qual dagli antri marini
  2. l’astro più caro a venere
  3. co’ rugiadosi crini
  4. fra le fuggenti tenebre
  5. appare, e il suo viaggio
  6. orna col lume dell’eterno raggio;
  7. sorgon così tue dive
  8. membra dall’egro talamo,
  9. e in te beltà rivive,
  10. l’aurea beltate ond’ebbero
  11. ristoro unico a’ mali
  12. le nate a vaneggiar menti mortali.
  13. Fiorir sul caro viso
  14. veggo la rosa, tornano
  15. i grandi occhi al sorriso
  16. insidiando, e vegliano
  17. per te in novelli pianti
  18. trepide madri, e sospettose amanti.
  19. Le Ore che dianzi meste
  20. ministre eran de’ farmachi,
  21. oggi l’indica veste
  22. e i monili cui gemmano
  23. effigiati Dei
  24. inclito studio di scalpelli achei,
  25. e i candidi coturni
  26. e gli amuleti recano,
  27. onde a’ cori notturni
  28. te, Dea, mirando obliano
  29. i garzoni le danze,
  30. te principio d’affanni e di speranze:
  31. o quando l’arpa adorni
  32. e co’ novelli numeri
  33. e co’ molli contorni
  34. delle forme che facile
  35. bisso seconda, e intanto
  36. fra il basso sospirar vola il tuo canto
  37. più periglioso; o quando
  38. balli disegni, e l’agile
  39. corpo all’aure fidando,
  40. ignoti vezzi sfuggono
  41. dai manti, e dal negletto
  42. velo scomposto sul sommosso petto.
  43. All’agitarti, lente
  44. cascan le trecce, nitide
  45. per ambrosia recente,
  46. mal fide all’aureo pettine
  47. e alla rosea ghirlanda
  48. che or con l’alma salute April ti manda.
  49. Così ancelle d’Amore
  50. a te d’intorno volano
  51. invidiate l’Ore.
  52. Meste le Grazie mirino
  53. chi la beltà fugace
  54. ti membra, e il giorno dell’eterna pace.
  55. Mortale guidatrice
  56. d’oceanine vergini,
  57. la parrasia pendice
  58. tenea la casta Artemide,
  59. e fea terror di cervi
  60. lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.
  61. Lei predicò la fama
  62. Olimpia prole; pavido
  63. Diva il mondo la chiama,
  64. e le sacrò l’Elisio
  65. soglio, ed il certo telo,
  66. e i monti, e il carro della luna in cielo.
  67. Are così a Bellona,
  68. un tempo invitta amazzone,
  69. die’ il vocale Elicona;
  70. ella il cimiero e l’egida
  71. or contro l’Anglia avara
  72. e le cavalle e il furor prepara.
  73. E quella a cui di sacro
  74. mirto te veggo cingere
  75. devota il simulacro,
  76. che presiede marmoreo
  77. agli arcani tuoi lari
  78. ove a me sol sacerdotessa appari,
  79. regina fu, Citera
  80. e Cipro ove perpetua
  81. odora primavera
  82. regnò beata, e l’isole
  83. che col selvoso dorso
  84. rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.
  85. Ebbi in quel mar la culla,
  86. ivi erra ignudo spirito
  87. di Faon la fanciulla,
  88. e se il notturno zeffiro
  89. blando sui flutti spira,
  90. suonano i liti un lamentar di lira:
  91. ond’io, pien del nativo
  92. aer sacro, su l’itala
  93. grave cetra derivo
  94. per te le corde eolie,
  95. e avrai divina i voti
  96. fra gl'inni mei delle insubri nepoti.
PARAFRASI

Così come dagli abissi (antri) marini appare la stella cara a Venere (l'astro più caro a Venere, cioè: Espero/Lucifero) con i suoi raggi simili a chiome piene di rugiada (rugiadosi crini) tra le tenebre che si dileguano (le fuggenti tenebre) e adorna il suo percorso nel cielo con la luce solare (Orna col lume dell’eterno raggio);

le tue divine membra (sineddoche) sorgono dal letto dove giacesti malata (egro talamo: ipallage), e in te ritorna a vivere la bellezza, la splendida bellezza (l’aurea beltate) dalla quale le menti dei mortali, destinate per natura a illudersi sempre vanamente (vaneggiar), ebbero l’unico conforto ai loro mali (ristoro unico a’ mali).

Vedo tornare sul tuo viso il colorito roseo della salute (la rosa), i tuoi grandi occhi tornano a sorridere (I grandi occhi al sorriso: sinestesia ) seducendo gli uomini (insidiando); e a causa tua le madri paurose (Trepide madri, temono per le proprie figlie cui rubi il fidanzato) ed insieme a loro le amanti timorose di perdere i propri uomini (sospettose amanti), tornano a restare nuovamente sveglie a piangere.

Le Ore (personificazione - ancelle) della giornata che prima, durante la malattia, ti somministravano tristi la medicina (meste ministre eran de’ farmaci), oggi ti porgono la veste di seta (indica = indiana cioè per convenzione "preziosa"), i monili adorni di (cui gemmano = adorni di) cammei su cui sono effigiate divinità classiche, opera preziosa di artisti greci (inclito studio - latinismo per "nobile lavoro" - di scalpelli achei),

le scarpette (coturni) bianche da ballo e altri ornamenti, cosicché nelle feste notturne (a’ cori notturni) i giovani (i garzoni), dimenticano (obliano) le danze contemplando te (Dea non più donna ma Dea perchè circonfusa di sovrumana bellezza), che sei causa del loro affanno e delle loro speranze di amore:

sia (o quando) quando suoni (adorni) l’arpa con nuove melodie (co' novelli numeri - "e co' e co'", anafora) e con il morbido contorno delle tue forme che il bisso (tessuto) aderente asseconda (seconda), e nel frattempo tra il sommesso sospirare (basso sospirar - rende efficace l'immagine dei presenti che trattengono il respiro) dei giovani presenti il tuo canto si eleva più pericoloso;

sia (o quando) quando danzi disegni figure con le membra, e abbandoni all’aria il tuo agile corpo, sfuggono dalla veste e dal velo scomposto sul petto ansimante, bellezze nascoste (ignoti vezzi).

Mentre ti muovi, le trecce allentate (lente) cadono, lucenti (nitide) a causa degli unguenti profumati spalmati di recente (ambrosia recente), mal tenute dal pettine dorato e dalla ghirlanda di rose (rosea) che Aprile (personificazione) ti dona insieme alla salute che dà vita (alma, nel senso latino di nutriente, vivificatrice).

Così le Ore, ancelle d’amore, volano intorno a te, motivo d'invidia (invidiate, per chi non suscita tanta attenzione di giovani ammiratori). E le Grazie guardino sdegnose (meste) chi ti ricorda (ti membra) che la bellezza è fugace (beltà fugace) e che devi anche tu morire (il giorno dell'eterna pace).

La pendice del monte Parrasio (la parrasia pendice) fu casa della pura (casta) Artemide (Diana), donna (mortale, Foscolo fa riferimento alla dottrina del greco Eumero secondo la quale gli dei e le dee erano semplici uomini e donne divinizzati poi dai poeti) alla guida delle ninfe oceanine (oceanine vergini - le sessanta vergini oceanine le erano state concesse dal padre Giove, alla nascita) e che facendo vibrare da lontano la corda (nervi) del suo arco cidonio (cidonio dal nome di Cidone, città cretese famosa per questa forma di artigianato) terrorizzava i cervi.

La fama diffuse la credenza che fosse di progenie divina (Olimpia prole - figlia di Giove); impauriti gli umani la chiamano Dea (pavido Diva il mondo la chiama), e la consacrarono (in quanto divinità triforme: Diana in terra, Luna in cielo e Proserpina nell'inferno), l’oltretomba (Elisio soglio, il regno dei campi elisi), le frecce infallibili (certo telo è la 'certa sagitta' di Orazio, la 'freccia infallibile'), i monti e la luna (carro della luna).

Allo stesso modo il canto dei poeti (il vocale Elicona - l'Elicona è il monte sacro alle Muse sempre risonante dei carmi dei poeti e per questo vocale) dedicò altari (diede are) a Bellona, un tempo amazzone invincibile (invitta) (così, suggerisce Foscolo, interpretando liberamente il mito, Bellona sarebbe divenuta, per merito dei poeti che l'hanno celebrata, dea della guerra); ella ora prepara l’elmo (cimiero), lo scudo (egida), i cavalli e il furore contro l’avara Inghilterra (Anglia avara - allusione ai Preparativi di guerra di Napoleone nel 1802 contro l'Inghilterra, definita avara perchè ingorda di vantaggi commerciali e coloniali).

A quella dea (cioè Venere), alla quale ti vedo cingere la statua con un mirto sacro, che domina (presiede) marmorea le tue stanze segrete (qui lari ha senso figurato di 'casa') dove a me solo ti presenti nella veste di sacerdotessa,

fu regina (fu una regina e non una Dea; anche Afrodite sarebbe stata una donna mortale divinizzata poi dai poeti) e regnò beata su Citera e Cipro, dove profuma eternamente la primavera, e sulle isole, che con i loro dorsali montuosi coperti di selve si frappongono al flusso dei venti (euri: venti di scirocco, Antonomasia) e alle onde del mar Ionio.

Nacqui in quel mare (Ebbi in quel mar la culla) dove erra lo spirito (ignudo perchè spoglio del corpo) della fanciulla di Faone (cioè dell'infelice poetessa greca Saffo, innamorata di Faone, che si gettò in mare) e se lo zeffiro notturno soffia dolcemente sulle acque marine, le rive risuonano del lamento della sua lira:

per cui io, ispirato dall’aria sacra (aer sacro) della terra natale, traspongo per te nei metri più gravi della poesia italiana (su l'itala grave cetra Sineddoche) la musicalità della poesia greca (le corde eolie), e così anche tu, divenuta divina, riceverai le offerte votive delle future donne lombarde (insubri: gli insubri erano l'antico popolo celtico della valle padana; qui vale genericamente per 'italiche') tra il canto dei miei inni.


Analisi e commento:

L’ode è del 1802. E’ dedicata alla donna amata, Antonietta Fagnani Arese, che è guarita da una malattia e si appresta a rientrare in società. E’ considerata la più bella poesia “celebrativa” del poeta. Confrontandola con l’altra ode a Luigia Pallavicini caduta da cavallo (1799) si rileva un progressivo affinamento di quell’idealizzazione della bellezza femminile che nell’altra appariva un po’ forzata nell’intento di sovrapporre la donna e la dea.
L’ode si gioca e si sviluppa su un classicismo aulico. Neoclassico è l’uso di un lessico estremamente elevato, il continuo ricorrere a figure retoriche, il gusto per i particolari grecizzanti, quello per i riti paganeggianti o per le personificazioni. Foscolo conduce un ampio discorso filosofico sulla bellezza e sul suo valore. Già ai versi 9-12 viene espressa la funzione rasserenatrice della bellezza sugli animi degli uomini. Nella seconda parte dell’ode si insiste invece sul valore eternatore della bellezza. Foscolo fonda il suo discorso partendo da una riflessione razionalistica su alcuni miti greci: Artemide, Bellona e Venere non erano altro che donne mortali, ma sono state consacrate come dee proprio grazie alla loro fama. L’eternità della bellezza è dunque un’illusione, ma è proprio grazie ad essa che quelle donne sono state consacrate all’immortalità. Ciò che consente alla bellezza l’eternità è la poesia ed ecco che nelle ultime due strofe il poeta si sofferma sul valore eternatore dei versi, attraverso i quali la bellezza può rendere eterne le cose contingenti. Foscolo si pone anche come il realizzatore di un importante compito, quello di far vivere nella poesia italiana contemporaneamente lo spirito della lirica greca, Foscolo, in virtù delle sue origini greche, ritiene di poter far rivivere il paradiso perduto della classicità. Egli grazie ai suoi versi potrà trasfigurare la donna in una dea, vincendo i limiti mortali. Il mito della bellezza ha dunque la funzione di vincere il tempo e le forze distruttrici che operano nel mondo e di fissare il reale in una dimensione assoluta, superando le incessanti trasformazioni a cui le cose contingenti non possono sottrarsi.

Metrica:

Ode esastica (cioè di stanze di 6 strofe) di 16 stanze. Le strofe sono formate da cinque settenari, alternativamente piani e sdruccioli, a cui segue un endecasillabo che rima, in rima baciata, col settenario precedente (schema metrico: abacdD).
Il testo è di tipo descrittivo-celebrativo. L’endecasillabo aumenta il livello descrittivo mentre il settenario aumenta quello poetico.