ALL’ AMICA RISANATA
Ugo Foscolo
- Qual dagli antri marini
- l’astro più caro a venere
- co’ rugiadosi crini
- fra le fuggenti tenebre
- appare, e il suo viaggio
- orna col lume dell’eterno raggio;
- sorgon così tue dive
- membra dall’egro talamo,
- e in te beltà rivive,
- l’aurea beltate ond’ebbero
- ristoro unico a’ mali
- le nate a vaneggiar menti mortali.
- Fiorir sul caro viso
- veggo la rosa, tornano
- i grandi occhi al sorriso
- insidiando, e vegliano
- per te in novelli pianti
- trepide madri, e sospettose amanti.
- Le Ore che dianzi meste
- ministre eran de’ farmachi,
- oggi l’indica veste
- e i monili cui gemmano
- effigiati Dei
- inclito studio di scalpelli achei,
- e i candidi coturni
- e gli amuleti recano,
- onde a’ cori notturni
- te, Dea, mirando obliano
- i garzoni le danze,
- te principio d’affanni e di speranze:
- o quando l’arpa adorni
- e co’ novelli numeri
- e co’ molli contorni
- delle forme che facile
- bisso seconda, e intanto
- fra il basso sospirar vola il tuo canto
- più periglioso; o quando
- balli disegni, e l’agile
- corpo all’aure fidando,
- ignoti vezzi sfuggono
- dai manti, e dal negletto
- velo scomposto sul sommosso petto.
- All’agitarti, lente
- cascan le trecce, nitide
- per ambrosia recente,
- mal fide all’aureo pettine
- e alla rosea ghirlanda
- che or con l’alma salute April ti manda.
- Così ancelle d’Amore
- a te d’intorno volano
- invidiate l’Ore.
- Meste le Grazie mirino
- chi la beltà fugace
- ti membra, e il giorno dell’eterna pace.
- Mortale guidatrice
- d’oceanine vergini,
- la parrasia pendice
- tenea la casta Artemide,
- e fea terror di cervi
- lungi fischiar d’arco cidonio i nervi.
- Lei predicò la fama
- Olimpia prole; pavido
- Diva il mondo la chiama,
- e le sacrò l’Elisio
- soglio, ed il certo telo,
- e i monti, e il carro della luna in cielo.
- Are così a Bellona,
- un tempo invitta amazzone,
- die’ il vocale Elicona;
- ella il cimiero e l’egida
- or contro l’Anglia avara
- e le cavalle e il furor prepara.
- E quella a cui di sacro
- mirto te veggo cingere
- devota il simulacro,
- che presiede marmoreo
- agli arcani tuoi lari
- ove a me sol sacerdotessa appari,
- regina fu, Citera
- e Cipro ove perpetua
- odora primavera
- regnò beata, e l’isole
- che col selvoso dorso
- rompono agli Euri e al grande Ionio il corso.
- Ebbi in quel mar la culla,
- ivi erra ignudo spirito
- di Faon la fanciulla,
- e se il notturno zeffiro
- blando sui flutti spira,
- suonano i liti un lamentar di lira:
- ond’io, pien del nativo
- aer sacro, su l’itala
- grave cetra derivo
- per te le corde eolie,
- e avrai divina i voti
- fra gl'inni mei delle insubri nepoti.
Così come dagli abissi (antri) marini appare la stella cara a Venere (l'astro più caro a Venere, cioè: Espero/Lucifero) con i suoi raggi simili a chiome piene di rugiada (rugiadosi crini) tra le tenebre che si dileguano (le fuggenti tenebre) e adorna il suo percorso nel cielo con la luce solare (Orna col lume dell’eterno raggio);
le tue divine membra (sineddoche) sorgono dal letto dove giacesti malata (egro talamo: ipallage), e in te ritorna a vivere la bellezza, la splendida bellezza (l’aurea beltate) dalla quale le menti dei mortali, destinate per natura a illudersi sempre vanamente (vaneggiar), ebbero l’unico conforto ai loro mali (ristoro unico a’ mali).
Vedo tornare sul tuo viso il colorito roseo della salute (la rosa), i tuoi grandi occhi tornano a sorridere (I grandi occhi al sorriso: sinestesia ) seducendo gli uomini (insidiando); e a causa tua le madri paurose (Trepide madri, temono per le proprie figlie cui rubi il fidanzato) ed insieme a loro le amanti timorose di perdere i propri uomini (sospettose amanti), tornano a restare nuovamente sveglie a piangere.
Le Ore (personificazione - ancelle) della giornata che prima, durante la malattia, ti somministravano tristi la medicina (meste ministre eran de’ farmaci), oggi ti porgono la veste di seta (indica = indiana cioè per convenzione "preziosa"), i monili adorni di (cui gemmano = adorni di) cammei su cui sono effigiate divinità classiche, opera preziosa di artisti greci (inclito studio - latinismo per "nobile lavoro" - di scalpelli achei),
le scarpette (coturni) bianche da ballo e altri ornamenti, cosicché nelle feste notturne (a’ cori notturni) i giovani (i garzoni), dimenticano (obliano) le danze contemplando te (Dea non più donna ma Dea perchè circonfusa di sovrumana bellezza), che sei causa del loro affanno e delle loro speranze di amore:
sia (o quando) quando suoni (adorni) l’arpa con nuove melodie (co' novelli numeri - "e co' e co'", anafora) e con il morbido contorno delle tue forme che il bisso (tessuto) aderente asseconda (seconda), e nel frattempo tra il sommesso sospirare (basso sospirar - rende efficace l'immagine dei presenti che trattengono il respiro) dei giovani presenti il tuo canto si eleva più pericoloso;
sia (o quando) quando danzi disegni figure con le membra, e abbandoni all’aria il tuo agile corpo, sfuggono dalla veste e dal velo scomposto sul petto ansimante, bellezze nascoste (ignoti vezzi).
Mentre ti muovi, le trecce allentate (lente) cadono, lucenti (nitide) a causa degli unguenti profumati spalmati di recente (ambrosia recente), mal tenute dal pettine dorato e dalla ghirlanda di rose (rosea) che Aprile (personificazione) ti dona insieme alla salute che dà vita (alma, nel senso latino di nutriente, vivificatrice).
Così le Ore, ancelle d’amore, volano intorno a te, motivo d'invidia (invidiate, per chi non suscita tanta attenzione di giovani ammiratori). E le Grazie guardino sdegnose (meste) chi ti ricorda (ti membra) che la bellezza è fugace (beltà fugace) e che devi anche tu morire (il giorno dell'eterna pace).
La pendice del monte Parrasio (la parrasia pendice) fu casa della pura (casta) Artemide (Diana), donna (mortale, Foscolo fa riferimento alla dottrina del greco Eumero secondo la quale gli dei e le dee erano semplici uomini e donne divinizzati poi dai poeti) alla guida delle ninfe oceanine (oceanine vergini - le sessanta vergini oceanine le erano state concesse dal padre Giove, alla nascita) e che facendo vibrare da lontano la corda (nervi) del suo arco cidonio (cidonio dal nome di Cidone, città cretese famosa per questa forma di artigianato) terrorizzava i cervi.
La fama diffuse la credenza che fosse di progenie divina (Olimpia prole - figlia di Giove); impauriti gli umani la chiamano Dea (pavido Diva il mondo la chiama), e la consacrarono (in quanto divinità triforme: Diana in terra, Luna in cielo e Proserpina nell'inferno), l’oltretomba (Elisio soglio, il regno dei campi elisi), le frecce infallibili (certo telo è la 'certa sagitta' di Orazio, la 'freccia infallibile'), i monti e la luna (carro della luna).
Allo stesso modo il canto dei poeti (il vocale Elicona - l'Elicona è il monte sacro alle Muse sempre risonante dei carmi dei poeti e per questo vocale) dedicò altari (diede are) a Bellona, un tempo amazzone invincibile (invitta) (così, suggerisce Foscolo, interpretando liberamente il mito, Bellona sarebbe divenuta, per merito dei poeti che l'hanno celebrata, dea della guerra); ella ora prepara l’elmo (cimiero), lo scudo (egida), i cavalli e il furore contro l’avara Inghilterra (Anglia avara - allusione ai Preparativi di guerra di Napoleone nel 1802 contro l'Inghilterra, definita avara perchè ingorda di vantaggi commerciali e coloniali).
A quella dea (cioè Venere), alla quale ti vedo cingere la statua con un mirto sacro, che domina (presiede) marmorea le tue stanze segrete (qui lari ha senso figurato di 'casa') dove a me solo ti presenti nella veste di sacerdotessa,
fu regina (fu una regina e non una Dea; anche Afrodite sarebbe stata una donna mortale divinizzata poi dai poeti) e regnò beata su Citera e Cipro, dove profuma eternamente la primavera, e sulle isole, che con i loro dorsali montuosi coperti di selve si frappongono al flusso dei venti (euri: venti di scirocco, Antonomasia) e alle onde del mar Ionio.
Nacqui in quel mare (Ebbi in quel mar la culla) dove erra lo spirito (ignudo perchè spoglio del corpo) della fanciulla di Faone (cioè dell'infelice poetessa greca Saffo, innamorata di Faone, che si gettò in mare) e se lo zeffiro notturno soffia dolcemente sulle acque marine, le rive risuonano del lamento della sua lira:
per cui io, ispirato dall’aria sacra (aer sacro) della terra natale, traspongo per te nei metri più gravi della poesia italiana (su l'itala grave cetra Sineddoche) la musicalità della poesia greca (le corde eolie), e così anche tu, divenuta divina, riceverai le offerte votive delle future donne lombarde (insubri: gli insubri erano l'antico popolo celtico della valle padana; qui vale genericamente per 'italiche') tra il canto dei miei inni.