PADRE, SE ANCHE TU NON FOSSI IL MIO
Camillo Sbarbaro

TESTO
  1. Padre, se anche tu non fossi il mio
  2. padre, se anche fossi a me un estraneo
  3. per te stesso egualmente t'amerei.
  4. Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
  5. che la prima viola sull'opposto
  6. muro scopristi dalla tua finestra
  7. e ce ne desti la novella allegro.
  8. E subito la scala tolta in spalla
  9. di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
  10. Noi piccoli stavamo alla finestra.
  11. E di quell'altra volta mi ricordo
  12. che la sorella mia piccola ancora,
  13. per la casa inseguivi minacciando
  14. (la caparbia avea fatto non so che).
  15. Ma raggiuntala che strillava forte
  16. dalla paura ti mancava il cuore:
  17. ché avevi visto te inseguir la tua
  18. piccola figlia e, tutta spaventata
  19. tu vacillante l'attiravi al petto,
  20. e con carezze dentro le tue braccia
  21. l’avviluppavi come per difenderla
  22. da quel cattivo che era il tu di prima.
  23. Padre, se anche tu non fossi il mio
  24. Padre, se anche fossi a me un estraneo,
  25. fra tutti quanti gli uomini già tanto
  26. pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
PARAFRASI

Padre…t’amerei = nelle prime tre righe si riassume il senso di tutta la lirica: il poeta rivolgendosi direttamente al padre afferma che egli lo amerebbe anche se non fosse suo padre ma semplicemente perché è lui; il mio/Padre = enjambement che sottolinea il possessivo; un estraneo = se anche non fossi legato a me da vincoli di parentela. Sottolinea il fondamento di un amore che travalica le ragioni del sangue.
Ché = sta per poichè; che = sta per quando; opposto = posto di fronte alla casa; scopristi = quasi un fatto straordinario: è inverno ma già si annunzia la primavera. novella = notizia, con un tocco più lieto e leggero; tolta in spalla = presa su una spalla; l'appoggiasti al muro = per salire a cogliere la viola; Noi piccoli…finestra = il poeta e la sorella bambini guardavano dalla finestra.

[Il Poeta racconta un secondo episodio dell’infanzia per delineare il carattere sensibile e dolce del padre. Il tono è colloquiale quasi prosastico]
che = sta per quando; minacciando = una punizione: per la marachella; caparbia =testarda/cocciuta; Ma raggiuntala = di fronte alla figlia che, raggiunta, grida e piange per la paura della punizione, il padre si blocca e gli manca il coraggio di punirla (ti mancava il cuore), rendendosi conto della violenza della situazione e esitante (vacillante – quasi tremante) attira al suo petto la bambina abbracciandola per proteggerla dalla sua stessa ira.
L’avviluppavi = la abbracciavi stretta, stretta. Il verbo esprime affetto e protezione. Da quel….prima = da quella parte di te, cattiva, che voleva punire.

Padre, se anche = la conclusione riprende come un leitmotiv lo spunto iniziale e lo ribadisce ed aggiunge: fra tutti quanti gli uomini già tanto/pel tuo cuore fanciullo t'amerei – tra tutti gli uomini amerei te, anche soltanto (già tanto) per il tuo cuore di fanciullo, cioè per la tua semplicità e bontà (quel “cuore fanciullo” rappresenta la qualità fondamentale delle virtù paterne).


Analisi e commento:

Questa lirica, insieme alla poesia Al padre, di Salvatore Quasimodo, rappresenta una delle più felici liriche d’ispirazione paterna del nostro ‘900. Fa parte della raccolta di poesie Pianissimo.
E’ un atto d’amore nei riguardi del padre a cui il figlio poeta dedica versi intensi ed accorati. Da questa lirica di memoria emerge l’immagine di un uomo ricco di umanità e sensibilità che potrebbe essere amato anche al di là del fatto di essere il padre. Gli episodi dell’infanzia che raccontano, con nostalgia e rimpianto, di quest’uomo dalle qualità umane di sensibilità e gentilezza, sono ricchi di suggestione ma non scadono mai in eccessi patetici.
In apparenza può sembrare di essere fuori dal mondo poetico usuale di Sbarbaro, dove predomina l’aridità, l’angoscia per la condizione dell’uomo solo. In realtà questi sentimenti rimangono sullo sfondo di questa lirica.

Metrica:

endecasillabi sciolti, raggruppati in tre strofe di diversa lunghezza. Lo stile è quasi prosastico, colloquiale e disadorno reso con un linguaggio scarno ed essenziale, nonostante la presenza di alcune forme ottocentesche (ché, mattin, novella, inseguir), che gli permette di non scadere nella retorica.