TACI ANIMA STANCA DI GODERE
Camillo Sbarbaro
Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all'uno e all'altro
vai rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d'ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d'una rassegnazione disperata.
Noi non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato...
Invece camminiamo.
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduta ha la sua voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
Taci: non è un imperativo ma un indicativo presente, quindi una constatazione e non un’esortazione, come confermato dal v.4. Il tono asciutto di questo inizio rivela da subito il rifiuto del Poeta per ogni forma di abbandono sentimentale; di godere e di soffrire: di provare gioia come di provare dolore; all'uno e all'altro vai rassegnata: remissiva ad accettare sia l’uno (la gioia) quanto l’altro sentimento (la sofferenza). L'apatia dell'atteggiamento decadente sfuma nello stoicismo.
Nessuna voce: l'anima è assente, muta, non manifesta nessuna reazione, è completamente passiva; miserabile: non nel senso di abietta o ignobile ma intesa come troppo breve, vacua, futile; tedio: noia.
Giaci come il corpo: il paragone con il corpo contribuisce a rendere ancora più incisiva l'immagine della resa; vi è l’abbattimento quasi fisico dell’anima.
Non ci stupiremmo: niente può scuotere quest'anima completamente annientata, neppure la morte (la scelta del plurale accomuna l’io del poeta e la sua anima); non è vero, mia anima: il poeta amorevolmente si confida e confronta con la propria anima (ricorda Leopardi: "Or poserai per sempre/stanco mio cor..." , A se stesso, vv.1-2); sospeso se ci fosse il fiato: se il fiato fosse sospeso (se si morisse).
Invece camminiamo: dato che la morte non arriva, il Poeta unito alla sua anima, prosegue la sua esistenza, incerto e vacillante come è l’incedere dei sonnambuli (come sonnambuli) in una sorta di automatismo.
La vicenda: l’avvicendarsi;
Perduta...del mondo: ogni illusione è perduta ed anche l'amore (la sirena del mondo; ricorda D'Annunzio "...O Diversità, sirena/del mondo...", Maia, vv.62-63) è muto e non rimane che un mondo arido e vuoto (il mondo è un grande deserto: tipica metafora vita = deserto; anche qui ricorda Leopardi).
deserto: la ripetizione del termine fonicamente dà una sensazione d'eco, come d'un rimbombo interiore. Il poeta, rassegnato guarda se stesso senza lacrime e dunque con disincanto (con asciutti occhi), si riconosce infinitesima parte di quel mondo alienato e deserto.