Le virtù di Cesare
(Pro Marcello, Cap. I, Par. 1-2)
Cicerone
- Diuturni silentii, patres conscripti, quo eram his temporibus usus, non timore aliquo, sed partim dolore, partim verecundia, finem hodiernus dies attulit, idemque initium quae vellem quaeque sentirem meo pristino more dicendi. Tantam enim mansuetudinem, tam inusitatam inauditamque clementiam, tantum in summa potestate rerum omnium modum, tam denique incredibilem sapientiam ac paene divinam, tacitus praeterire nullo modo possum.
- M. enim Marcello vobis, patres conscripti, reique publicae reddito, non illius solum, sed etiam meam vocem et auctoritatem et vobis et rei publicae conservatam ac restitutam puto. Dolebam enim, patres conscripti, et vehementer angebar, virum talem, cum in eadem causa in qua ego fuisset, non in eadem esse fortuna, nec mihi persuadere poteram, nec fas esse ducebam, versari me in nostro vetere curriculo, illo aemulo atque imitatore studiorum ac laborum meorum quasi quodam socio a me et comite distracto. Ergo et mihi meae pristinae vitae consuetudinem, C. Caesar, interclusam aperuisti, et his omnibus ad bene de re publica sperandum quasi signum aliquod sustulisti.
1. - O padri coscritti [Cicerone si rivolge ai senatori], il giorno d’oggi (hodiernus dies) portò (attulit) la fine del lungo silenzio (diuturni silentii), che avevo serbato in questi [ultimi] tempi (quo eram his temporibus usus), non per qualche timore, ma in parte per il dolore, in parte per la riservatezza, e inoltre (idemque) portò [sottinteso: attulit] il mio ricominciare ad esprimere (initium dicendi - letteralmente: l’inizio del dire – genitivo del gerundio seguito da due relative al congiuntivo) quello che voglio (quae vellem – cioè: la mia volontà) e quello che penso (quae sentirem – cioè: il mio pensiero), secondo la mia abitudine passata. Infatti (enim) in nessun modo posso (nullo modo possum) passare (praeterire) sotto silenzio (tacitus – predicativo del soggetto) tanta mansuetudine, una clemenza così inusata e inaudita, una così grande moderazione (tantum modum) in ogni cosa in un altissimo potere (in summa potestate – si riferisce al sommo potere di Cesare nominato dittatore nel 46 a.C.) e infine una saggezza così incredibile (tam incredibilem sapientiam) e quasi divina.
2. – Infatti (enim), Marco Marcello essendo stato reso a voi (reddito vobis), o padri coscritti, e alla repubblica (rei/que publicae), credo (puto) che la voce e l’autorità non solo di lui (non illius solum), ma anche la mia (etiam meam) sia stata, sia a voi che alla repubblica (vobis et rei publicae), salvata e restituita (conservatam ac restitutam – subordinata oggettiva dipendente da puto). Infatti io mi dolevo, o padri coscritti, e mi angustiavo fortemente (angebar vehementer), che un tale uomo (virum talem), pur essendo stato (cum fuisset) nello stesso partito (in eadem causa – appartenevano entrambi alla fazione pompeiana), nel quale [ero stato – sottinteso: fueram] io, non era (non esse) nella stessa condizione [infatti Cicerone era stato perdonato da Cesare quasi subito], né io potevo persuadermi (mihi persuadere poteram) e non credevo fosse lecito (fas esse ducebam) che io mi trovassi (versari me) nella nostra vecchia carriera (vetere curriculo), mentre quell’emulo e imitatore dei miei studi e delle mie fatiche era stato separato da me come un associato e un compagno. Dunque, o Caio Cesare [Cicerone si rivolge direttamente a Cesare], tu apristi per me (aperuisti mihi) la consuetudine interrotta (interclusam) della mia vita passata (meae pristinae vitae), e alzasti (sustulisti) per tutti costoro quasi una bandiera per il bene sperare (ad bene sperandum) di tutto lo Stato [hai dato un segnale che fa ben sperare per le sorti della Repubblica].