L’ADDIO A ROMA
(Tristia, Libro I, Elegia 3, vv.1-28)
Ovidio

TESTO
  1. Cum subit illius tristissima noctis imago,
  2. quae mihi supremum tempus in urbe fuit,
  3. cum repeto noctem, qua tot mihi cara reliqui,
  4. labitur ex oculis nunc quoque gutta meis.
  5. Iam prope lux aderat, qua me discedere Caesar
  6. finibus extremae iusserat Ausoniae.
  7. Nec spatium nec mens fuerat satis apta parandi:
  8. torpuerant longa pectora nostra mora.
  9. non mihi servorum, comitis non cura legendi,
  10. non aptae profugo vestis opisve fuit.
  11. Non aliter stupui, quam qui Iovis ignibus ictus
  12. vivit et est vitae nescius ipse suae.
  13. ut tamen hanc animi nubem dolor ipse removit,
  14. et tandem sensus convaluere mei,
  15. alloquor extremum maestos abiturus amicos,
  16. qui modo de multis unus et alter erat.
  17. Uxor amans flentem flens acrius ipsa tenebat,
  18. imbre per indignas usque cadente genas.
  19. Nata procul Libycis aberat diversa sub oris,
  20. nec poterat fati certior esse mei.
  21. Quocumque aspiceres, luctus gemitusque sonabant,
  22. formaque non taciti funeris intus erat.
  23. Femina virque meo, pueri quoque funere maerent,
  24. inque domo lacrimas angulus omnis habet.
  25. Si licet exemplis in parvis grandibus uti,
  26. haec facies Troiae, cum caperetur, erat.
  27. Iamque quiescebant voces hominumque canumque
  28. Lunaque nocturnos alta regebat equos.
TRADUZIONE E ANALISI

Quando (cum) mi torna in mente (subit) l’immagine tristissima di quella notte (illius noctis) in cui (quae) per me (mihi) fu l’ ultimo tempo (supremum tempus – il momento supremo indica il trapasso dalla vita alla morte e significativamente in questo contesto Ovidio la usa a significare che con la partenza da Roma la sua vita finisce) in Roma, quando ripenso alla notte (cum repeto noctem) in cui (qua) lasciai (reliqui) tante cose (tot) a me care, anche ora (quoque nunc) dai miei occhi (ex meis oculis – complemento di moto da luogo) una lacrima (gutta) scende (labitur).
Ormai (iam prope – letteralmente già quasi) il giorno (lux sta a significare la luce del giorno) era imminente, in cui (qua) Cesare mi aveva ordinato (iusserat) di partire (discedere) dagli estremi confini dell'Italia (Ausoniae – gli ausoni era un popolo che abitava  nell’Italia centro-meridionale).
Non c’era stato (fuerat) nè tempo (spatium) nè volontà (mens - animo) di disporre (parandi) sufficienti preparativi (satis apta): i lunghi indugi (longa mora) avevano intorpidito il mio cuore (pectora nostra). Non mi curai (mihi non fuit mia cura) dei servi, né di scegliere i compagni (non legendi comitis), né vesti o (ve = aut) cose (opisve – opis + ve ) adatte (aptae) ad un profugo.
Ero stordito non diversamente (non aliter) da colui che (quam qui) colpito (ictus) dal fulmine (ignibus) di Giove (Iovis ), rimane in vita ed egli stesso è ignaro (nescius) della sua vita. Quando tuttavia (ut tamen) il dolore stesso (dolor ipse) dissipò (removit) questa nube dell'anima, e finalmente i miei sensi ripresero vigore (convaluere), prossimo a partire (abiturus), mi rivolgo (alloquor) per l'ultima volta (extremum) agli amici afflitti (maestos), i quali (qui) di molti (de multis) erano [rimasti] solo uno o due.
La sposa (uxor = Fabia la 3° moglie) amorosa (amans), mi teneva mentre io piangevo (flentem), lei stessa piangendo (ipsa flens) più forte (acrius), una pioggia [di lacrime] cadeva (imbre cadente – ablativo assoluto) continuamente (usque - avverbio) per le gote innocenti (per indignas genas – complemento di moto per luogo).
La figlia era assente (nata aberat), lontano (procul) in altro luogo (diversa) sotto le spiagge (sub oris) libiche, nè e poteva essere informata (certior esse – letteralmente: essere più certa – certior è un comparativo assoluto) della mia sorte.
Dovunque [tu] guardassi (aspicerestu sottinteso), risuonavano pianti e lamenti e dentro (intus) vi era l’aspetto (forma) di un funerale rumoroso (non taciti = intende in tono non sommesso).
Uomini e donne (femina vir – singolari collettivi), anche (quoque) bambini si struggono (maerent) per la mia rovina (meo funere) e nella casa (in/que domo) ogni angolo ha lacrime.
Se è permesso servirsi (si licet uti) di grandi esempi nei piccoli casi (in parvis), questo era l'aspetto (haec erat facies) di Troia mentre veniva presa (cum capereturcum causale con valore temporale).
E già (Iamque) tacevano le voci degli uomini e dei cani e la luna alta [nel cielo] guidava (regebat) i cavalli notturni.


Commento:

Tema:

Il I libro dei Tristia (cinque libri) fa parte dei carmi composti nell’ultimo periodo della poesia ovidiana, durante l’esilio. Ovidio fu relegato da Augusto con Editto imperiale dell’8 d.c., a Tomi, sul Mar Nero e  non rientrò mai più a Roma, nonostante suppliche e preghiere.  
Nei Tristia, Ovidio descrive il suo stato d’animo di esiliato, soffermandosi sulla solitudine, la durezza del clima, la desolazione del luogo posto al confine estremo della civiltà romana. Egli è costretto a condurre una vita ben diversa da quella romana, per la quale nutre grande nostalgia, circondato da genti barbare e selvagge.
In questa elegia Ovidio descrive la sua ultima notte romana prima di dover partire per l’esilio, rivive il senso di angoscia e stupore provato nel dover obbedire  ad un ordine ritenuto eccessivamente punitivo. Racconta del doloroso addio a familiari e amici, col tono drammatico di colui che parte per il suo ultimo viaggio, come se si trattasse del suo funerale e del suo congedo dal mondo dei vivi.
Se da un lato vi è esplicito tutto il dolore e la tristezza provati dal poeta per l’allontanamento forzoso da Roma, dall’altro traspare anche lo sguardo ironico e disincantato dell’autore sulla vicenda che contribuisce ad alleggerire la drammaticità della situazione.

Forma metrica:

Figure retoriche:
lux = luce - metonimia per giorno – (v.5)
flentem flens - poliptoto: ripetizione della stessa parola ma con funzione diversa (prima acc. e poi nom.) – (v.17)
sub oris Libycis - sineddoche per indicare genericamente l’africa settentrionale - (v.19)
non taciti - litote per indicare rumoroso/con urla – (v.22)
haec facies Troiae, cum caperetur, erat iperbole: paragona il trambusto in casa Ovidio a quello di Troia presa e incendiata dai greci - (v.26)

Verbi:

subit -ind. pres. da subeo, is, subii, subitum, ire, comp. di eo = presentarsi alla mente
repeto - ind. pres. da repeto, is, petivi o petii, petitum, ere, iii con. = ripensare
reliqui - ind. pf. da relinquo, is, liqui, lictum, ere, iii con. = lasciare/lasciare indietro
labitur - ind. pres. da labor, eris, lapsus sum, labi, iii con. dep. = scendere/scorrere giù
aderat  - ind. imperf. da adsum, es, afui, adesse, comp. di sum= essere imminente/comparire
discedere - infinito pres. da  discedo, is, discessi, discessum, ere, iii con. = partire
iusserat - ind. ppf, da iubeo, es, iussi, iussum, ere, ii con. = ordinare
parandi - gen. del gerundio da paro, as, avi, atum, are, i con. = disporre/preparare
torpuerant - ind. ppf. da torpesco, is, torpui, torpescere, iii con. = intorpidire
legendi - gen. del gerundio da lego, is, legi, ere, iii con. = scegliere
stupui - ind. pf. da stupeo, es, stupui, ere, ii con. = essere stordito/stupirsi
ictus - participio pf. da ico o icio, ici, ictum, ere, iii con. = colpire.
removit - ind. pf. da removeo, es, removi, motum, ere ii con. = rimuovere/allontanare
convaluere (= convaluerunt) - ind. pf. da convalesco, is, convalui, ere, iii con. = riprendere forza/vigore
alloquor - ind. pres. da adloquor, eris, locutus sum, adloqui, iii con. dep. = rivolgersi.
abiturus -part. fut. da abeo, es, abii, abitum, ire, comp. di eo . = partire/andarsene
flentemeflens - part. pres. da fleo,  es, flevi, fletum, ere, iii con. = piangere
tenebat - ind. imperf. da teneo, es, tenui, tentum, ere, ii con. = tenere.
aspiceres - cong. imperf. da aspicio, is, aspexi, aspectum, ere, iii con. = guardare
sonabant - ind. imperf. da da sono, as, avi, atum, are, i con. = risuonare.
maerent - ind pres. da maereo, es,  ere, ii con. = piangere/struggersi
licet - ind. pres. da licet, licuit o licitum est, ere, ii con. impers. = permettere.
uti - infinito pres. da  utor, eris, usus sum, uti, iii con. dep. = servirsi
caperetur - cong. imperf.  da capio, is, cepi, captum, ere, iii con. = prendere
quiescebant - ind. imperf. da quiesco, is, quievi, quietum, ere, iii con. = tacere/ammutolire
regebant - ind. imperf. da rego, is, rexi, rectum, ere, iii con. = guidare