IN MORTE DI CARLO IMBONATI (vv.165/215)
Alessandro Manzoni
- (...) Or dimmi, e non ti gravi,
- se di te vero udii che la divina
- de le Muse armonia poco curasti.
- Sorrise alquanto, e rispondea: “Qualunque
- di chiaro esempio, o di veraci carte
- giovasse altrui, fu da me sempre avuto
- in onor sommo. E venerando il nome
- fummi di lui, che ne le reggie primo
- l'orma stampò de l'italo coturno:
- e l'aureo manto lacerato ai grandi,
- mostrò lor piaghe, e vendicò gli umili;
- e di quel, che sul plettro immacolato
- cantò per me: Torna a fiorir la rosa.
- cui, di maestro a me poi fatto amico,
- con reverente affetto ammirai sempre
- scola e palestra di virtù. Ma sdegno
- mi fero i mille, che tu vedi un tanto
- nome usurparsi, e portar seco in Pindo
- l'immondizia del trivio e l'arroganza
- e i vizj lor; che di perduta fama
- vedi, e di morto ingegno, un vergognoso
- far di lodi mercato e di strapazzi.
- Stolti! Non ombra di possente amico,
- né lodator comprati avea quel sommo
- d'occhi cieco, e divin raggio di mente,
- che per la Grecia mendicò cantando.
- Solo d'Ascra venian le fide amiche
- esulando con esso, e la mal certa
- con le destre vocali orma reggendo:
- cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene,
- e Rodi a Smirna cittadin contende:
- e patria ei non conosce altra che il cielo.
- Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli
- sopravissuti, oscura e disonesta
- canizie attende”. E tacque; e scosso il capo,
- e sporto il labbro, amaramente il torse,
- com'uom cui cosa appare ond'egli ha schifo.
- Gioja il suo dir mi porse, e non ignota
- bile destommi; e replicai: “Deh! vogli
- la via segnarmi, onde toccar la cima
- io possa, o far, che s'io cadrò su l'erta,
- dicasi almen: su l'orma propria ei giace.
- “Sentir”, riprese, “e meditar: di poco
- esser contento: da la meta mai
- non torcer gli occhi: conservar la mano
- pura e la mente: de le umane cose
- tanto sperimentar, quanto ti basti
- per non curarle: non ti far mai servo:
- non far tregua coi vili: il santo Vero
- mai non tradir: né proferir mai verbo,
- che plauda al vizio, o la virtù derida.
Ora dimmi, e non ti dispiaccia (non ti gravi), se è vero quanto si dice che hai tenuto in poco conto (poco curasti) la poesia (divina de le Muse armonia) [si riferisce al fatto che Imbonati era, essendo illuminista e riformatore, più attento alla diffusione di una cultura politica che alla poesia.]
Sorrise e rispose: “Chiunque fosse di giovamento agli altri, o con l’esempio della propria condotta (chiaro esempio), o con scritti (carte) che riportano il vero (veraci) fu da me sempre considerato (avuto) con sommo onore. Fu per me oggetto di venerazione il nome di colui (lui - si riferisce a Vittorio Alfieri), che primo [1° tragediografo che aveva nelle sue tragedie mostrato la tirannia dei potenti] pose al centro della tragedia italiana (italo coturno; coturno era la calzatura utilizzata dagli attori greci delle tragedie) la vita delle corti e lacerato il manto d’oro dei potenti, mostrò le loro miserie e vendicò gli oppressi.
E di colui (di quel: Parini) che sulla sua poesia pura (plettro immacolato: ripresa dal “nobil plettro” citato in un’ode pariniana; immacolato perché privo di adulazione) cantò per me:Torna a fiorir la rosa [cita l’incipit dell’ode “L’Educazione” del Parini, che questi scrisse per festeggiare la guarigione dal vaiolo di Imbonati] .
Che (cui), maestro diventato poi amico, ammirai sempre con reverente affetto, scuola e palestra di virtù . Ma sdegno mi provocano i tanti poetastri (i mille), che usurpano un nome così illustre (un tanto Nome) e contamina la poesia (portar seco in Pindo è il monte sacro ad Apollo, Dio della poesia) con il trivio e l’arroganza.
I quali, [poetastri] di cattiva reputazione (perduta fama) e privi di ingegno poetico (morto ingegno) fanno un vergognoso mercato di adulazioni e di stroncature (lodi mercato e di strapazzi).
Stolti! Omero (sommo...cieco), sommo cieco e mente divina, che per la Grecia andò mendicando, non si avvalse di protezioni (ombra di possente amico) e di adulatori comprati.
Soltanto le Muse, sue fedeli amiche (fide amiche), d’Ascra (Ascra era la città sede delle Muse) lo accompagnavano nell’esilio, sorreggendone (reggendo) gli incerti passi (la mal certa orma) con la musica (destre volali esperte cioè di produrre con la cetra suoni armoniosi), che poi morto (tolto a la terra), Argo, Atene, Rodi e Smirne se lo contendono come cittadino [si contendono i natali di Omero].
Si rivolge di nuovo ai poetastri (Ma Voi…), sopravvissuti [perché le brutte opere sono destinate a scomparire subito, prima della morte del loro autore] alle vostre stesse opere (mal lordati fogli) vi attende una senescenza disonesta [lat. nel senso di non onorata] e oscura. E tace; scuotendo il capo, sporse e storse il labbro in una piega amara, come un uomo disgustato da ogni cosa.
[Manzoni sposta qui il dialogo ad un livello ideale] Le sue parole (il suo dir) mi provocarono (porse) gioia, e [nello stesso tempo] mi risvegliarono (destommi) una indignazione già conosciuta (Non ignota bile: si riferisce al fatto che lo stesso rancore e disprezzo per il presente malcostume gli aveva già ispirato la composizione dei Sermoni.); e replicai: che tu voglia indicarmi il modo (via – metafora per indicare il faticoso cammino) con cui (onde) io possa raggiungere (toccar) l’eccellenza poetica (cima – metafora) o fare [in modo] che, se io cadrò durante il cammino (su l’erta), almeno si dica: è caduto su passi propri (su l’orma propria ei giace – espressione ripresa dal sonetto Alla musa ed allude a chi muore dopo aver vissuto senza essere sceso a compromessi).
Riprese: “Sentire [con il sentimento] e meditare [riflettere]: accontentarsi (essere contento) di poco: mai distogliere lo sguardo (torcer gli occhi) dalla meta: conservare il pensiero (mente) e l’azione (mano) puri: fare esperienza (sperimentar) delle cose umane quel tanto che (tanto…quanto) basti per non dar loro troppo peso (non curarle): non ti sottomettere mai (non ti far mai servo): non scendere a patti (far tregua) coi vili: non tradire mai la verità che è sacra (santo Vero): né dire (proferir) mai parole (verbo) che esaltino (plauda) il vizio, o deridano la virtù”. [Manzoni, attraverso l’uso stilistico dell’infinito, espone un vero e proprio decalogo laico di virtù a cui egli resterà sostanzialmente sempre fedele.]