LA PESTE DI ATENE
(De rerum natura - VI, vv. 1138-1153)
Lucrezio

TESTO

Haec ratio quondam morborum et mortifer aestus
finibus in Cecropis funestos reddidit agros
vastavitque vias, exhausit civibus urbem.
Nam penitus veniens Aegypti finibus ortus,
aera permensus multum camposque natantis,
incubuit tandem populo Pandionis omni.
Inde catervatim morbo mortique dabantur.
Principio caput incensum fervore gerebant
et duplicis oculos suffusa luce rubentis.
Sudabant etiam fauces intrinsecus atrae
sanguine et ulceribus vocis via saepta coibat
atque animi interpres manabat lingua cruore
debilitata malis, motu gravis, aspera tactu.
Inde ubi per fauces pectus complerat et ipsum
morbida vis in cor maestum confluxerat aegris,
omnia tum vero vitai claustra lababant.

TRADUZIONE E ANALISI

Un tempo (quondam= un tempo - riferito alla peste del 430 a.C. narrata da Tucidide), questo tipo (haec ratio) di morbo (morborum) e  flusso mortifero (mortifer aestus – odore che favorisce il contagio, portatore di morte) sparse i campi di cadaveri (funestos reddidit agros – funestos dal sostantivo fumus = lutto, aggettivo usato per indicare impurita’ in un luogo contaminato dalla presenza di cadaveri, letteralmente: funestò i campi) nel regno di Cecrope (finibus in Cecropisanastrofe per in finibus – Cecrope era il mitico re di Atene, fondatore della citta’ e dell’acropoli) e devasto’ (vastavit – significa anche rendere deserto) le strade, vuoto’ la citta’ di abitanti (civibus – ablativo di privazione).
Infatti, provenendo (veniens) dalle parti piu’ interne (finibus = moto da luogo – penitus = dall’interno) dell’Egitto dov’era nato (ortus = participio congiunto con il soggetto - secondo Tucidide, invece, la peste era nata in Etiopia per poi passare in Egitto e diffondersi nell’impero persiano), dopo aver attraversato (permensus= participio da “permetiri”) vaste regioni di cielo (aera…multum – aera: acc. Femminile con desinenza greca) e fluttuanti distese marine (camposque natantisnatantis sta per natantes, è accusativo plurale da unire al sostantivo campos), si abbattè (incubuit) infine sopra tutta la gente di Pandione (altro leggendario re di Atene).
E allora a mucchi (catervatim) cadevano preda (dabantur = erano consegnati) della malattia e della morte.
All’inizio avevano (gerebant) il capo bruciante di un ardore (fervore) infuocato (incensum – participio di incendere) ed ambedue gli occhi (duplicis oculos - duplicis sta per duplices, acc. pl. riferito a oculos) arrossati (rubentis – acc. pl. riferito a oculos – desinenza in is anzicchè in es, rubentes) per un bagliore diffuso.
Le fauci (fauces) nere (atrae), inoltre (etiam), nell’ interno sudavano sangue, e ostruito (saepta da saepio = chiudere) di piaghe il passaggio della voce (vocis via - metafora) si serrava (coibat – imperfetto da coire), e la lingua, interprete dell’animo, stillava (manabat) gocce di sangue (cruore = sangue versato da una ferita, ≠da sanguis), fiaccata dal male, impacciata nel movimento (motu gravis), ruvida al tatto (tactu – ablativo di limitazione) [aggiunta di Lucrezio rispetto a Tucidide per rendere meglio l’idea della frustrazione e della sofferenza anche psicologica delle persone colpite dal morbo attraverso il contrasto tra una mente attenta ed una lingua che non riesce piu’ a parlare].
Poi, quando la forza della malattia (morbida vismorbida da morbus = malattia) attraverso la gola aveva invaso (complerat sta per compleverat) il petto ed era affluita (confluxerat) fin dentro il cuore afflitto (maestum)dei malati (aegris dativo di svantaggio), allora davvero vacillavano (lababant da labo = vacillare) tutte le barriere della vita (vitai claustra – vitai = gen. arcaico – le barriere della vita perché trattengono la vita nel corpo).


Commento:

Lucrezio narra della peste che si abbatté su Atene nel 430 a.C. Il brano fa parte del VI libro del De rerum natura in cui Lucrezio tratta dei fenomeni naturali e che si conclude con la trattazione dell’origine e della diffusione delle malattie con la descrizione della peste per la quale Lucrezio prende spunto dal modello greco dell’episodio descritto da Tucidide nel libro II della Guerra del Pelopponeso (II, 47-53).
Questa prima parte di descrizione lucreziana tratta dell’origine del male e ne elenca i sintomi che vengono descritti in maniera molto particolareggiata.
Inizia, come da tradizione retorica, dalla parte più importante del corpo, "il caput", dove si annidano i maggiori sintomi per passare poi a descrivere lungamente i segni della peste sulla bocca con il drammatico particolare della lingua che stilla sangue e, gonfia e contratta, non permette più l’uso della parola. Lucrezio usa particolari anche macabri e repellenti che non risultano nella sobria descrizione di Tucidide.
In tutta l’opera egli vuole dimostrare che l’essere umano, impotente davanti alla forza distruttrice della natura (la peste ne e’ un esempio), niente può se non usare la sua unica arma "la ragione" non per distruggere ma per capire e riuscire a combattere.

FORMA METRICA: esametri dattilici.