LA CAPRA
Umberto Saba
- Ho parlato a una capra.
- Era sola sul prato, era legata.
- Sazia d'erba, bagnata
- dalla pioggia, belava.
- Quell'uguale belato era fraterno
- al mio dolore. Ed io risposi, prima
- per celia, poi perché il dolore è eterno,
- ha una voce e non varia.
- Questa voce sentiva
- gemere in una capra solitaria.
- In una capra dal viso semita
- sentiva querelarsi ogni altro male,
- ogni altra vita.
La capra è descritta dal poeta in una situazione di grande difficoltà, è sola, non può muoversi ed è in balia della pioggia.
Il suo belare è causato dalla paura della solitudine (era sola) e della prigionia (era legata - era...era anafora ) e non dalla fame (dato che è sazia d’erba).
Il verso ininterrotto e continuo (uguale belato, monotono belare) della capra è percepito dal poeta come l’espressione di un dolore simile al suo (fraterno, affine). Ed egli risponde al verso, prima per scherzo (per celia), ma poi si rende conto che quello stesso dolore è comune a tutti gli uomini (ha una voce e non varia), da sempre e per sempre (è eterno).
Egli sente (sentiva - arcaismo) la stessa sofferenza in una capra solitaria (riprende il v.2 per ribadire che si tratta di un dolore antico dato dalla solitudine e dalla prigionia - anadiplosi con il verso seguente: capra solitaria/una capra).
In quest’ultimo verso l’umanizzazione dell’animale è totale ed il poeta vede in lei l’immagine di un ebreo (viso semita – personificazione - la barbetta che incornicia il volto della capra richiama l’immagine del volto di un ebreo, cioè il rappresentante di un popolo che ha patito grandi persecuzioni e grandi sofferenze ed a cui apparteneva anche la madre di Saba) che esprime dolorosamente (querelarsi = lamentarsi) ogni tipo di sofferenza, patita da ogni essere (ogni…ogni - anafora).