IN MEMORIA
Giuseppe Ungaretti
- Si chiamava
- Moammed Sceab
- Discendente
- di emiri di nomadi
- suicida
- perché non aveva più
- Patria
- Amò la Francia
- e mutò nome
- Fu Marcel
- ma non era Francese
- e non sapeva più
- vivere
- nella tenda dei suoi
- dove si ascolta la cantilena
- del Corano
- gustando un caffè
- E non sapeva
- sciogliere
- il canto
- del suo abbandono
- L’ho accompagnato
- insieme alla padrona dell’albergo
- dove abitavamo
- a Parigi
- dal numero 5 della rue des Carmes
- appassito vicolo in discesa.
- Riposa
- nel camposanto d’Ivry
- sobborgo che pare
- sempre
- in una giornata
- di una
- decomposta fiera
- E forse io solo
- so ancora
- che visse
Il suo nome era Moammed Sceab (esule arabo amico d’infanzia di Ungaretti).
Discendente di capi mussulmani nomadi (Emiri di nomadi: capi di tribù arabe che vivevano nomadi nel deserto) suicida perché non sopportava più la condizione di esule (non aveva più patria – non era più arabo ma neanche francese).
Amava la Francia e cambiò il suo nome (mutò nome: per sentirsi più francese).
Si fece chiamare Marcel, ma non era un francese e non era più neppure arabo, non riusciva più a vivere come un arabo nomade, nella tenda, ascoltando il Corano e sorseggiando un caffè (Non…suoi: l’esperienza francese aveva modificato la sua cultura e il suo modo di vivere, rendendolo incapace di adattarsi di nuovo alle consuetudini e alla mentalità della sua gente).
E non riusciva a risolvere nella poesia il senso angoscioso dell’abbandono, della mancanza di patria (Sciogliere il canto del suo abbandono: nella poesia avrebbe potuto esprimersi e trovare quindi uno sfogo liberatorio).
Ho accompagnato il suo feretro (l’ho accompagnato – per l’ultimo viaggio) insieme alla padrona dell’albergo (l’isolamento e la solitudine dell’amico vengono messi in rilievo da numero esiguo di persone che seguono il funerale) che ci ospitava a Parigi dal numero 5 della Rue des Carmes, del triste vicolo in discesa [il poeta elenca una serie di particolari insignificanti per evidenziare il senso di estraneità che una grande metropoli può far percepire].
Ora egli riposa nel cimitero d’Ivry (grosso sobborgo parigino sulla Senna), sobborgo che appare sempre come in una giornata di festa ormai finita (decomposta fiera – anche in questo caso il poeta vuole trasmettere con annotazioni di cronaca grigia e triste il senso di angoscia e squallore con un ritmo prosastico che non dà alcun spazio alla retorica).
Forse solo io so che visse (il poeta si assume il compito di garantire attraverso il ricordo e la sua poesia la sopravvivenza dell’amico).