APPARIZIONE DI VIRGILIO
Divina Commedia - Inferno – Canto I – vv.61-99
Dante Alighieri
- Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
- dinanzi a li occhi mi si fu offerto
- chi per lungo silenzio parea fioco.
- Quando vidi costui nel gran diserto,
- "Miserere di me", gridai a lui,
- "qual che tu sii, od ombra od omo certo!"
- Rispuosemi: "Non omo, omo già fui,
- e li parenti miei furon lombardi,
- mantoani per patria ambedui.
- Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
- e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto
- nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
- Poeta fui, e cantai di quel giusto
- figliuol d'Anchise che venne di Troia,
- poi che 'l superbo Ilion fu combusto.
- Ma tu perché ritorni a tanta noia?
- perché non sali il dilettoso monte
- ch'è principio e cagion di tutta gioia?"
- "Or se' tu quel Virgilio e quella fonte
- che spandi di parlar sì largo fiume?",
- rispuos'io lui con vergognosa fronte.
- "O de li altri poeti onore e lume,
- vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
- che m'ha fatto cercar lo tuo volume.
- Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
- tu se' solo colui da cu' io tolsi
- lo bello stilo che m'ha fatto onore.
- Vedi la bestia per cu' io mi volsi;
- aiutami da lei, famoso saggio,
- ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi".
- "A te convien tenere altro viaggio",
- rispuose, poi che lagrimar mi vide,
- "se vuo' campar d'esto loco selvaggio;
- ché questa bestia, per la qual tu gride,
- non lascia altrui passar per la sua via,
- ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide
- e ha natura sì malvagia e ria,
- che mai non empie la bramosa voglia,
- e dopo 'l pasto ha più fame che pria.
Mentre io cadevo rovinosamente (rovinava – questo termine è da intendere in senso più morale che fisico, nel significato emblematico della perdita di ogni speranza di salvezza) verso il fondo [della valle] (in basso loco) mi si offrì alla vista colui che per un lungo silenzio era rimasto muto (fioco - il personaggio a cui si riferisce è Virgilio che rappresenta allegoricamente la Ragione che appare sbiadita perché per lungo tempo tralasciata - per lungo silenzio parea fioco - ossimoro).
Quando lo vidi (vidi costui) in quel vasto luogo deserto, “Pietà (Miserere – forma liturgica – imperativo del verbo latino misereor) di me”, gli gridai, “chiunque (qual che) tu sia, un’anima (ombra) o uomo vero (omo certo)!”
Mi rispose (rispuosemi): “Non sono un uomo, uomo lo fui in passato (già), e i miei genitori (parenti - latinismo) furono lombardi, entrambi (ambedui) mantovani per luogo di nascita (per patria).
Nacqui sotto Giulio Cesare, anche se in epoca troppo avanzata (ancor che fosse tardi – Virgilio aveva 26 anni quando Cesare fu ucciso e non aveva ancora composto le sue opere più importanti), e vissi a Roma durante il regno del valente (buono) Augusto, all'epoca degli dei finti e impostori (dèi falsi e bugiardi - gli dei pagani).
Fui un poeta, e scrissi (cantai) del valente (quel giusto) figlio di Anchise (figliuol d'Anchise = Enea) che arrivò da (di particella con valore di moto da luogo) Troia, dopo che la superba Ilio (superbo Ilion – la rocca di Troia designata come superbium Ilium nell’Eneide) venne bruciata (combusto - latinismo).
Ma tu, perché ridiscendi (ritorni) verso un luogo così tormentoso (a tanta noia – metonimia, il luogo concreto viene indicato attraverso un sostantivo astratto – noia = tormento/angoscia, dal provenzale enueg)? Perché non scali il felice (dilettoso) colle (monte – è il colle dei vv.13/18 che Dante ha tentato di scalare, rappresenta la felicità terrena) che è principio e causa (cagion) di tutte le gioie?”
“Dunque (or) sei tu quel Virgilio e quella fonte (fonte - metafora) che spande un fiume (fiume - metafora) così ricco di parole (di parlar)?” gli risposi con volto (fronte - sineddoche) umile (vergognosa).
“Oh, gloria e guida (lume - metafora) per gli altri poeti, mi serva (vagliami) l'assiduo studio e il forte amore che mi hanno indotto a cercare le tue opere (lo tuo volume).
Tu sei il mio maestro e la mia autorità, tu sei il solo da cui ho tratto (tolsi) lo stile eletto (lo bello stilo) che mi ha dato gloria (onore).
Vedi la belva (bestia – si riferisce alla lupa) per cui (per cu') mi voltai indietro (mi volsi); salvami (aiutami) da lei, famoso poeta (saggio – nella concezione medievale il poeta oltre ad essere maestro di retorica era anche maestro di sapienza), poiché (ch') essa mi fa tremare le vene e le arterie (i polsi - metonimia).
“Ti conviene (a te convien) percorrere (tenere) un altro cammino (viaggio)”, rispose, dopo che (poi che) mi vide piangere, “se vuoi salvarti (se vuo' campar) da questo luogo selvaggio (loco selvaggio = la selva oscura); poiché (ché) questa belva, a causa della quale (per la qual) tu chiedi aiuto (tu gride), non permette che qualcuno (altrui) passi per la sua strada, ma tanto l’ostacola ('mpedisce) che lo uccide [metafora per dire che la cupidigia porta alla morte dello spirito]; e [la lupa] ha una natura così cattiva e colpevole (malvagia e ria), che non sazia (empie) mai il suo bramoso desiderio, e dopo essersi cibata ha più fame di prima.