VISIONE (LX)
Giosué Carducci

TESTO
  1.     Il sole tardo ne l'invernale
  2. ciel le caligini scialbe vincea,
  3. e il verde tenero de la novale
  4. sotto gli sprazzi del sol ridea.
  5.     Correva l'onda del Po regale,
  6. l'onda del nitido Mincio correa.
  7. Apriva l'anima pensosa l'ale
  8. bianche de' sogni verso un'idea.
  9.     E al cuor nel fiso mito fulgore
  10. di quella placida fata morgana
  11. riaffacciavasi la prima età,
  12.     senza memorie, senza dolore,
  13. pur come un'isola verde, lontana
  14. entro una pallida serenità.
PARAFRASI

Il sole, lento a sorgere (tardo) nella stagione invernale, scioglieva (vincea) le nebbie pallide, biancastre (caligini scialbe) e l'erba appena nata, la nuova erba (verde tenero – il verde sta per l’erba - sineddoche) del campo  (novale: latinismo - il maggese, il campo rimesso a cultura dopo un anno di riposo, che assieme al "sole tardo" si fa emblema di rinascita), sotto i raggi di sole (sprazzi del sol è lo spuntare del sole, a tratti, tra la nebbia) brillava (ridea).
Correva (Correva/correa chiasmo – le coppie di elementi che costituiscono i versi sono ripetuti con ordine inverso per dare l’idea del movimento) il fiume regale (regale = il Po è regale perché è il più importante fiume italiano ed il senso di maestà deriva anche dall'ampiezza del corso), l’acqua del limpido (nitido) Mincio correva.
La mia anima, assorta,  prendeva a sognare (l'ale...sogni = la bianca ala dei sogni apriva,  è una metafora l’anima è vista come un uccello dalle bianche ali che si libra in volo) inseguendo una visione (un'idea = un ricordo, la visione della fanciullezza). E nella luminosità (fulgore) immobile (fiso perchè fermo, immobile e quindi senza inquietudine, sereno) di quel tranquillo e piacevole miraggio (fata morgana = visione illusoria - propriamente si tratta di un fenomeno ottico prodotto dalla rifrazione dei raggi del sole nei deserti e negli stretti marini che fa apparire paesaggi fantastici) emergeva nel mio cuore il ricordo della fanciullezza (la prima età), priva di memoria e di dolore ma solo (pur) come un’isola verde (una terra favolosa), lontana, avvolta in una sfumata luce serena (pallida serenità - allude al carattere evanescente della visione).


Analisi e commento:

Il testo fu composto nel febbraio del 1883 a Verona, dove il poeta era ospite di Dafne e Carlo Gargiolli. Fu pubblicato (sulla "Domenica letteraria") il 18 febbraio 1883, col titolo di "Rêverie", avrebbe acquisito il titolo definitivo nelle Rime Nuove (1887). Carducci affermò "Rêverie fu composta proprio con l'intendimento di conseguire un certo effetto estetico specialmente, ma non soltanto, per mezzo di una variata armonica disposizione di sillabe, di suoni, di cadenza" (Lettere, XIV,172).
Il poeta descrive il paesaggio invernale di nebbia e sole dell'inverno padano. L’assorta contemplazione paesistica lascia il posto ad un incantato riaffacciarsi alla mente della stagione della fanciullezza, della "prima età". Sia la visione paesistica che il ricordo appaiono privi di un contenuto esatto o di un riferimento preciso. Vi è la dissolvenza del presente nel passato da cui emerge il ricordo dell’infanzia privo di ogni ansia dolorosa e mitizzato dal Poeta come una mitica visione, una terra favolosa e beata.

Metrica:

Sonetto di doppi quinari (endecasillabi catulliani), secondo l'esempio di Parini, con schema ABAB, ABAB, CDE, CDE. L’uso ripetuto dell’imperfetto e di aggettivi e sostantivi quali: “caligini”, “scialbe”, “anima pensosa”, “pallida serenità”, ecc., contribuiscono a rendere la visione incantata del Poeta ed a suggerire l’atmosfera rarefatta ed ovattata.